Ancora formalmente la trattativa di governo non si è conchiusa con l’atto definitivo di nomina. Ma le dichiarazioni esultanti del presidente Musumeci (“È stata un’intensa giornata di lavoro, conclusasi con la disponibilità della Lega a entrare in giunta, su mia richiesta. Ne sono felice perché mi è stata vicina fin dalla mia candidatura. Sono certo che, adesso, il centrodestra al completo saprà dare ulteriore impulso alle grandi riforme in un rapporto sempre più sinergico con l’Assemblea regionale”.), del leader nazionale della Lega Salvini (“Siamo orgogliosi di entrare nel governo regionale siciliano, prima volta nella storia, per confermare le capacità amministrative delle donne e degli uomini della Lega”.) e del suo plenipotenziario in Sicilia senatore Candiani (“Il nostro ingresso in giunta ha un forte senso politico perché intendiamo imprimere una svolta nel funzionamento della macchina regionale”.) non lasciano possibilità ad alternative. Dopo più di un anno di vacatio all’assessorato dei Beni culturali e dell’identità siciliana, nel vertice di maggioranza che si è tenuto martedì scorso, Musumeci ed i suoi compagni di ventura hanno trovato “la quadra” ed hanno deciso di porre fine alla crisi che si trascinava dalla tragica morte del suo titolare, professore Tusa, stabilendo di affidarne la cura per la seconda parte del mandato presidenziale ad un uomo della Lega (Nord).
Ora, a parte le modalità (veti, contro-veti, riunioni, appelli, anatemi, vertici di maggioranza ) con le quali si è arrivati a questa decisione, tutte prima rigorosamente esecrate dai partiti di maggioranza, ciò che ha lasciato stupefatti opinione pubblica e forze di opposizione parlamentare ed extra parlamentare è stata l’arroganza e la protervia con le quali il presidente Musumeci ha mostrato di ritenere di poter far tutto ciò che vuole ed, in particolare, di poter prendere in giro il Popolo siciliano, fatto oggetto di scherno per dover subire l’ingiuria di essere ritenuto incapace di saper difendere e valorizzare da sé la propria identità ed essere costretto a subire la tutela di una forza politica che mai ha mostrato nei confronti del Sud e della Sicilia simpatia o benevolenza e neppure civile tolleranza. La Lega prima di Bossi ed oggi di Salvini, come è appena il caso di ricordare, infatti nasce e si sviluppa sì sulla base della parola d’ordine di “Roma ladrona” e quindi contro il centralismo della Stato nazionale ma il suo vero bersaglio è stato sempre il Sud, ritenuto una sorta di parassita dedito a sfruttare il Nord Italia tramite l’azione compiacente dello Stato nazionale. La sua iniziativa politica, anche quella più recente del tentativo di ottenere per le regioni del Nord da essa governate un “regionalismo differenziato”, è stata sempre ispirata non alla solidarietà nazionale ma all’egoismo di acchiappare e mantenere tutto per sé il gettito fiscale prodotto nell’ambito del proprio territorio grazie, ad esempio, al principio per cui le grandi imprese che hanno più stabilimenti di produzione nell’intero Paese pagano, però, tutte le loro imposte dove (naturalmente, al Nord) hanno la sede legale.
Non solo. Ma la politica della Lega, in questo ultimo ventennio da essa egemonizzato, ha portato ad una situazione, oggi da tutti riconosciuta, per cui il Mezzogiorno è annualmente derubato di 61,5 miliardi di euro derivanti dal fatto che al Sud, con il 34,3 per cento della popolazione, è erogato il 28,3 per cento della spesa pubblica nazionale mentre al Nord, con il 65,7 per cento della popolazione, è trasferito il 71,7 per cento della spesa pubblica. Che, per fare qualche esempio concreto, significa: mentre in Campania per gli aiuti alle famiglie arrivano trenta milioni di euro l’anno, a Veneto e Lombardia ne vengono rispettivamente assegnati duecento e duecentocinquanta; mentre al Sud per ogni singolo professore vi sono venti studenti, al Nord gli studenti per professore sono esattamente la metà, vale a dire: dieci. Per non dire, poi, delle regioni che fanno registrare il primato dei dipendenti pubblici che non sono quelle Meridionali ma del Nord-Est e, precisamente, Veneto, Emilia-Romagna, Trentino e Friuli che hanno 5 dipendenti pubblici per ogni cento abitanti contro i 4,4 del Mezzogiorno.
Questi, dunque, gli effetti delle politiche perseguite dal nuovo partner del governo Musumeci che dovrebbe difendere l’identità siciliana e che, invece, come si è accennato, con il tentativo di attuazione a favore di Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, etc. del “regionalismo differenziato” avrebbe voluto ancora di recente far diventare questa situazione più grave e, comunque, irreversibile. Fortunatamente, però, questa volta l’opinione pubblica ha reagito ed il progetto del grande ‘scippo’ ai danni del Mezzogiorno , almeno per il momento, è stato bloccato.
Ma che succede in Sicilia, forse sperando stoltamente nella distrazione o nella benevolenza dell’opinione pubblica a causa della drammatica situazione determinata dal COVID-19? Che il governatore Musumeci -invece di preoccuparsi di arginare il nuovo disastro (annunciato) dell’avvento di almeno cinquantamila nuovi disoccupati oltre all’incremento esponenziale della povertà individuale e famigliare in tutta l’Isola e di lanciare un grande progetto di riforma della regione per guidarne la rinascita dopo questo pandemonio del corona-virus- approfitta della situazione per mettere ‘a posto’ secondo un miope calcolo di sopravvivenza politica la maggioranza che lo sostiene nel gioco assembleare e, trascurando ad esempio quanto il movimento Unità Siciliana gli aveva chiesto con un appello pubblicato sui tre quotidiani della Sicilia e cioè l’azzeramento di questa giunta con la costituzione di un “Governo regionale di emergenza nel quale inserire le migliori rappresentanze dei settori economico-sociali” della Sicilia, apre all’ingresso in giunta di un rappresentante della Lega di Salvini. Attribuendogli per di più l’assessorato all’identità siciliana ed ai beni culturali che costituisce o, meglio, dovrebbe costituire il riferimento ed il presidio più alto della storia, della cultura, del modo di essere, dei timori e delle speranze delle Comunità siciliane. In una parola, il sacrario della civilizzazione siciliana.
Ora, a parte il profilo immediatamente offensivo per il Popolo siciliano di cui abbiamo accennato prima, questa decisione assunta alla vigilia del 74° anniversario dell’approvazione dello Statuto (R.D.L. 15 maggio 1946 n. 455) rappresenta una vera e propria bomba istituzionale. Con la quale si intende sabotare l’intera storia dell’Autonomia siciliana che avrà avuto tutti i difetti che vogliamo e che vanno corretti per un riscatto non più procrastinabile del futuro della Sicilia ma che -deve essere chiaro- costituisce il dono prezioso che i nostri Padri ci hanno lasciato perché lo consegnassimo arricchito alle generazioni più giovani e soprattutto a quelle future. Cosa che purtroppo finora non è avvenuta ma che non è più possibile tollerare.
Dopo la sciagura del governo Crocetta, fin dal momento della sua formazione chiaramente incapace di capire quale fossero i compiti di un organismo responsabile e di autogoverno, la candidatura -prima- e la elezione -dopo- del presidente Musumeci, con il suo movimento Diventerà bellissima, aveva fatto sperare che la battaglia autonomistica potesse essere ripresa con progetti e programmi nuovi di apertura e respiro finalmente adeguati. Primo fra tutti, il progetto di una grande riforma dello Statuto regionale siciliano che dopo più di settanta anni di vita necessita di una profonda riscrittura delle regole che presiedono alla vita delle Comunità regionali che non può continuare ad essere contemporaneamente avulsa sia dalle relazioni europee che da quelle mediterranee. Ed invece, che cosa ci propina ora Musumeci con questo rimpasto di governo che affida la sua futura fisionomia alla politica della Lega di Salvini? Nient’altro che la fine di ogni autonomia ed indipendenza del governo siciliano stretto come d’ora in poi sarà tra la linea della Lega e quella di Fratelli d’Italia. Altro che nuova autonomia!
Insomma ed in conclusione, questo settantaquattresimo anniversario dello Statuto siciliano per la bomba con la quale lo ha minato Musumeci difficilmente potrà essere dimenticato e passerà alla storia o per aver celebrato, questa volta sì, la fine della stagione autonomistica o per aver segnato -se noi siciliani sapremo trarre le conseguenze di tutto ciò spazzando via questa attuale classe politica sempre più ripiegata in sé stessa e preoccupata solo della propria sopravvivenza- l’inizio di una rinascenza del Popolo siciliano che finalmente ritornerà ad essere protagonista del proprio destino.