Ormai che mi avete fatto aprire gli occhi, con il chiasso dei vostri commenti, vi dirò finalmente come stanno le cose e come la penso. Come dite? Mi chiedete se ce l’ho con voi? Certamente! Mai che si possa dormire in pace per il tempo che si vuole. Ogni anno a Natale è sempre la stessa storia, vi ricordate del sottoscritto, il pastore Benino e ci ricamate sopra storie di fantasia non sapendo cosa altro inventarvi.
Mi rispolverate dalle vostre scatole riposte con cura nello sgabuzzino di casa, quelle dove si conservano i personaggi del presepe, mettendomi in mostra senza chiedermi alcun permesso, soprattutto ridendo di me e del mio sonno. Non vi curate del fatto che io possa svegliarmi od essere contrariato di essere messo nuovamente in ridicola esposizione.
Vi affannate ad indagare sulla mia storia; così vi fa fatica pensare che io sia stato presente alla nascita di Gesù in mezzo ad una confusione di vita tra lavandaie, zingare, donne in cinta, oltre la Madonna, ed una umanità che continua nei suoi affari mentre viene al mondo il Figlio di Dio.
Sono gli stessi uomini e donne che per i vicoli di Gerusalemme continuavano a provvedere al quotidiano mentre il figlio di Dio in una strada appena in salita, adiacente ad altre intrise di traffici e di incombenze quotidiane, provvedeva a raggiungere il Calvario sotto il peso della croce.
Il mondo non si ferma in nessun modo e che sia naturale o di scandalo, di bene o di male, è così che stanno le cose. Quanto a me ed al mio amico Cicci Bacco, oste e compagno di bevute, siamo tra i protagonisti del presepe napoletano, assai più vivace delle belle statuine degli altri presepi. Da noi anche gli angeli diventano di carne e sangue e contribuiscono ad una animazione che rende vera la natività che cambia la sorte di tutto il creato.
Ogni anno rischiate di svegliarmi dal mio sonno ben riuscito, a causa della mia pancia piena di cibarie e di vino in abbondanza, perché siete invidiosi del mio abbandono. O forse il vostro è un atto di pietà, il desiderio che anche io possa mancare alla festa e non perdermi nulla della scena divina. Pensate con preoccupazione che il mio russamento possa svegliare Gesù o forse che invece sia stato utile al suo addormentamento, come fosse una ninna nanna a cu affidarsi per il riposo.
Alcuni di voi credono che il presepe sia semplicemente un mio sogno e che se mi destassi tutto scomparirebbe, in tutte le case non ci sarebbe d’un tratto più ombra della rappresentazione di Giuseppe, Maria e dl loro pargoletto con contorno di Re Magi ed altro ancora. Quindi mi ingozzate di vino in eterno perché nulla possa spezzare l’incantesimo costituito.
Sono talmente zuppo di vino e di cibo che anche Morfeo si è ubriacato ed ha dimenticato di darsi un tempo per finire il suo lavoro. Ho scoperto che mi invidia per quanto io stia bene e mi ha preso a modello, con il pericolo che il mondo non abbia più ore di sveglia e di sonno.
Altri pensano che io sia stato presente proprio al momento in cui Gesù è venuto al mondo. Problemi vostri e non miei. Avete l’ansia di collocarmi e di darmi a tutti i costi un’epoca. Vorrei soltanto che non mi destaste, che mi lasciaste in pace.
Non mi piace la vostra agitazione e tanto meno i vostri mercanteggiamenti per ogni cosa che fate. Tenetevela pure la vostra vita a cui non voglio partecipare.
Io non mi ubriaco per tristezza, per dolori che mi affliggono o per fallimenti di denaro o d’amore. Io bevo per non vedervi, per non puzzare dell’aroma del vostro modo che non voglio mi appartenga.
Il mio non è il sonno di Gasperino, l’ubriaco del Marchese del Grillo e neppure quello insistito, cocciuto, di Lucarié, il giovane protagonista di Natale in casa Cupiello.
Io, Benino, pastore di prima fila, voglio essere lasciato in preghiera. Nel mio eterno torpore riesco a distrarmi da voi che schiamazzate in continuazione per fare onore alle vostre vite. Dal miglior vitigno trovo la forza del mio sonno e solo così mi raccolgo in adorazione davanti a Gesù, finalmente il silenzio nel cuore, ed a lui parlo e racconto favole per bimbi e da lui ascolto il vagito per cui ogni volta rinasco.