Regione Autonoma Ebraica in Russia, modello virtuoso in tempi di conflitto.

Nell'Estremo Oriente esiste da 90 anni una amministrazione ebraica della Federazione Russa con capitale Birobidzhan. Non è la terra sognata dagli ebrei? Però non ha dato problemi né a loro né ad altri.

“Io sto con Israele e gli riconosco il diritto all’esistenza in pace e sicurezza, anzi gli riconosco addirittura il diritto all’esistenza come Stato ebraico se questo può lenire il suo senso di insicurezza”. Così il diplomatico Marco Carnelos in una sua lettera pubblicata su Dagospia il 12 ottobre scorso, ha sostenuto che l’aspirazione a costituire una entità politica di natura ebraica può divenire un elemento che aiuta la pace e non ad alimentare conflitti. Ed ha offerto l’occasione per riflettere sul fatto che la qualifica etnica e/o religiosa di una entità politica non costituisce in sé un ostacolo alla pace, come dimostrato dalla pacifica esistenza da quasi novant’anni della Regione Autonoma Ebraica, una delle 89 amministrazioni territoriali che compongono la Federazione Russa.

L’Oblast Autonoma Ebraica fu istituita nel 1934 da Stalin su un territorio dell’estremo oriente russo, esteso quanto la Guinea Bissau, ai confini con la Manciuria cinese, alla confluenza dei fiumi Bira e Bidzan (da cui viene il nome della capitale, Birobidzhan) con lingue ufficiali l’yddish e l’ebraico insieme al russo. L’individuazione nel 1928 di quella regione, ottomila km a Est di Mosca (allora una regione remota, adesso in posizione strategica rispetto ad un Estremo Oriente in forte sviluppo), è frutto del dibattito dell’epoca sia tra le comunità ebraiche russe e dell’Europa Orientale, divise al loro interno sul tema, sia nella digenza dell’Unione Sovietica su come comporre la grande varietà di etnie che costituiva l’Urss, nell’ambito del progetto volto a dare un territorio ad ogni etnia (e gli ebrei, al pari dei ceceni, tatari, e altri, venivano considerati un gruppo etnico e non religioso). Per gli ebrei l’individuazione di un territorio a loro disposizione non ebbe i caratteri della deportazione, toccata invece ad altre minoranze etniche. La scelta di trasferirsi fu di natura volontaria per gli ebrei di Russia e fu compiuta, non senza un certo entusiasmo, inizialmente da circa cinquantamila persone.

Molti fra i primi coloni erano però più orientati al commercio che all’agricoltura e allo sfruttamento delle risorse naturali, tra cui oro e stagno, di cui è ricca la regione. Questi rimasero delusi e gradualmente se ne andarono mentre coloro che avevano passione per l’agricoltura e per le risorse di quel territorio rimasero a popolare quella entità istituzionale concepita per ebrei. Dal 1936 fu permessa la libertà di culto e dopo la Seconda Guerra Mondiale fu costruita anche una sinagoga a Birobidzhan e promosso l’insegnamento della lingua yiddish. Gradualmente la presenza ebraica nella regione è diminuita e attualmente non va oltre un quarto della popolazione. Molti di coloro che hanno lasciato la Regione Russa Ebraica si sono trasferiti nello stato di Israele dopo la sua costituzione.

E tuttavia, la storia della Regione Autonoma Ebraica situata in una terra di confine, in mezzo a culture, etnie e religioni diverse merita di essere considerata in questo tempo di nuovi conflitti in Terra Santa. Perché questa esperienza, questa particolare e unica forma istituzionale, diversa ovviamente per molte ragioni da quella di Israele, ci ricorda che quando si mira a raggiungere un accordo per risolvere i problemi, una soluzione la si trova. E i novant’anni di pace di cui ha goduto la Regione Ebraica della Russia, (ad eccezione del periodo delle purghe staliniane che riguardarono alcuni dirigenti come nel resto dell’Urss), senza problemi di ordine etnico o religioso, senza rischi o minacce per la comunità ebraica, lo dimostra.

Le diversità di ogni genere fra i popoli della terra si possono sempre comporre, con il compromesso quando possibile, ma anche con la reciproca accettazione di aspetti reciprocamente non compresi e tuttavia utili a evitare conflitti. Purché tutto questo avvenga sempre in un clima di rispetto dell’umanità e non ci si lasci dominare da logiche di violenza indiscriminata e cieca dalle quali poi risulta difficilissimo uscire.