Renzi, il Pd e i Popolari: una riflessione sul futuro.

Notoriamente, con lo scisma non sono in gioco i cardini teologici della Chiesa, ma i criteri di disciplina e organizzazione che tutelano il depositum fidei.

L’iniziativa di Renzi ha il valore di uno scisma, come la pubblica opinione ha imparato in questi giorni a classificare la scissione. Qualcuno sostiene che debba essere consensuale. Che cosa vuol dire? All’annuncio della fuoriuscita, le reazioni dalle parti del Nazareno trasudano insofferenza e livore. Comunque la si giri, questa vicenda sconvolge il piano di volo della dirigenza zingarettiana. Da oggi è più difficile parlare di un Pd inclusivo, capace di mettere a valore la pluralità delle sue voci, resistente a ogni traversia interna e punto di riferimento pressoché esclusivo per l’elettorato antipopulista e antisovranista.

Notoriamente, con lo scisma non sono in gioco i cardini teologici della Chiesa, ma i criteri di disciplina e organizzazione che tutelano il depositum fidei. Per analogia, la rottura di Renzi rispecchia il momento scismatico perché prescinde da fondamentali questioni ideali, essendo risucchiata nel vortice della tattica, senza il respiro della grande motivazione che accompagna solitamente il congedo da una militanza politica. Nel lessico caro a De Mita l’infondatezza del gesto è l’espressione dalla “mancanza di pensiero”, non avendo altro orizzonte che il pragmatismo del fare e disfare. Nell’immediato, nulla toglie e nulla aggiunge alla natura e alla composizione della nuova maggioranza di governo, limitandosi a un esercizio di ridistribuzione di pesi e misure.

Ancora nei mesi passati esisteva una ragione che rendeva plausibile la decisione assunta oggi da Renzi: parliamo del rifiuto – ecco la ragione – a stringere accordi con il M5S. È invece accaduto nel corso della crisi, destinata a risolversi con la formazione del Conte bis, che fosse Renzi ad aprire al Movimento grillino, trascinando per altro il riluttante Zingaretti. Quindi è saltata quella pregiudiziale politica che all’occorrenza avrebbe potuto legittimare il diritto alla secessione, esibendo il titolo della propria coerenza personale. Ora, viceversa, regge a fatica l’impianto di una polemica che ruota attorno alla inaccettabilità dello spostamento a sinistra del partito. A tale riguardo, vale la pena ricordare che l’ingresso nel Partito Socialista Europeo ė stato voluto da Renzi, benché apparisse equilibrata la sola adesione al gruppo parlamentare di Strasburgo.

Dunque, un grumo di artificiosità rende l’operazione un po’ avventata, anche se Renzi ne sostiene con forza l’utile funzione di riequilibrio nel largo perimetro della coalizione governativa. Liquidarla alla maniera di Sala (“c’ė chi entra e c’è chi esce”) è però una caduta di stile. Non bisogna irridere banalmente a un atto che destabilizza il centrosinistra, costringendo tutti a ripensare il profilo di una politica fortemente ambiziosa, legata cioè alla programmazione di un nuovo codice genetico del riformismo. Chi desse fiato al revanscismo anti-renziano, propiziando l’avvvento di un partito finalmente sciolto dalla novità di una missione oltrepassante le ideologie del Novecento, non farebbe altro che accentuare un mix pericoloso di arroganza e superficialità.

Nel 2007 i cattolici democratici sono stati i coprotagonisti della fondazione del Pd. Successivamente, all’epoca dell’infausta alleanza tra Bersani e Vendola, alcuni ne sono usciti in dissenso con l’involuzione tardo-socialista del gruppo dirigente. Nei giorni dell’onnipotenza di Renzi il distacco si è persino accentuato, specie in occasione del referendum sulla riforma della Costituzione. Il resto appartiene alla cronaca. È giunto adesso il dovere di un sereno esame di coscienza? L’esperienza di “Rete Bianca” permette di rintracciare la volontà di contribuire alla battaglia per un rilancio del popolarismo come lievito della democrazia italiana. Se il PPI di Castagnetti offrisse una sponda, operando in termini di consustanzialità e autonomia rispetto alla vicenda del Pd – esercizio difficile ma non impossibile -, potrebbe riattivarsi un circuito di dibattito e partecipazione. Molti vorrebbero dare una mano senza dover rinunciare al modesto diritto di sentirsi a casa propria.

Il PPI non è un partito defunto. Nel congresso di Roma del 2002 ne fu sospesa l’attività in vista della costituzione della Margherita. Poi l’atteggiamento dei vertici, esulando da una verifica collegiale circa il passaggio al “partito unico dei riformisti”, ha determinato la propensione a valorizzare le responsabilità dei singoli sulla scena pubblica. Sarebbe sciocco ignorare il ruolo assunto nelle istituzioni e nella società civile da personalità provenienti dal mondo popolare: al Colle ne abbiamo, fortunatamente per noi e soprattutto per il Paese, la massima espressione. Ciò nondimeno l’esame di coscienza si fa pressante e investe tutti, sapendo che la fine della condivisione di valori ed esperienze, nella catena di vecchie e nuove generazioni, può avvenire rapidamente non appena s’inceppa per motivi vari il meccanismo della politica. Una riflessione sul futuro si fa urgente.