Francoforte, giovedì 31 ottobre 2019. Ultimo giorno di mandato presidenziale alla Banca Centrale Europea. Nell’ufficio di Mario Draghi, situato all’ultimo piano del grattacielo Eurotower, gli scatoloni sono già pronti. L’indomani, venerdì 1 novembre (nonostante Ognissanti sia un giorno festivo anche nella Germania protestante) Christine Lagarde ha già dato precise disposizioni per il suo insediamento.

Mario Draghi sarà ricordato dagli storici come il vero, autentico custode della moneta unica: rispettato e temuto dai mercati e dall’establishment finanziario, inviso ai populisti, oggetto di tweet sarcastici (sempre più frequenti) da parte del Presidente Usa, Donald Trump, con risposte altrettanto serafiche: “Il tasso di cambio non è mai stato un target della Bce”. 19 nazioni europee adottano l’Euro: più di 300 milioni di cittadini. 

A cosa sta pensando il banchiere italiano, nel suo ultimo giorno a Francoforte? Forse al suo insediamento, il 1 novembre 2011, quando il predecessore, Jean Claude Trichet, gli lasciò in eredità la “patata bollente” della crisi finanziaria in atto. O forse ricorda il drammatico G20 di Cannes, quello delle risatine tra la Merkel e Sarkozy, che accelerarono la caduta del Governo Berlusconi (e il successivo varo, in 48 ore, dell’esecutivo guidato da Monti). L’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, già dall’estate 2011 stava lavorando concretamente a un “piano B” per l’Italia. In una recente intervista, Carlo De Benedetti ricorda di essere stato consultato al riguardo e di aver risposto: “Presidente, un governo operativo serve subito, prima che lo spread superi i 500 punti: a quel punto sarebbe tardi”. 

Ma forse l’ex allievo del liceo romano Massimo “dei Gesuiti” (classe 1947, compagni di banco Luca di Montezemolo, Luigi Abete e anche il nostro Direttore, Giuseppe Sangiorgi) sta pensando alla fine di luglio 2012, “il giorno più lungo da quando esiste l’Euro” (la definizione è del Financial Times). Durante una drammatica conferenza stampa, con lo spread pericolosamente sopra quota 500 punti, Draghi disse semplicemente (si fa per dire) “noi faremo qualsiasi cosa per difendere l’Euro”.  Quel Whatever it takes, pronunciato con aria quasi distratta, ha cambiato la storia recente e il destino dell’economia europea.

O forse, mentre sta raccogliendo i suoi effetti personali, l’economista cresciuto all’ombra di Franco Modigliani e Carlo Azeglio Ciampi, osserva un antico elmo prussiano appeso al muro, singolare dono di insediamento da parte del popolare magazine tedesco Bild. Forse un messaggio obliquo, per invitare il nuovo Presidente italiano a perseverare nelle politiche di rigore (oggi diremmo di austerity) del suo predecessore. Draghi accettò il dono di buon grado, forse facendo buon viso a cattivo gioco. Poi, negli otto anni successivi, dimenticò l’ammonimento facendo esattamente l’opposto: tagli sistematici dei tassi interesse, sostegni alle banche e massicce dosi di Quantitative Easing (2600 miliardi di liquidità iniettati a cadenza mensile nell’Eurosistema) che hanno tenuto i tassi a zero scatenando, a più riprese, l’ira funesta del Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann e dei “falchi” dell’ortodossia monetaria europea. 

Secondo voci di corridoio, a un certo punto la Bild avrebbe addirittura chiesto la restituzione dell’elmo prussiano: evidentemente il messaggio recapitato non era andato a buon fine. Eppure è ancora lì, nell’ufficio Presidenziale, all’ultimo piano di Eurotower, Kaiserstrasse 29, Frankfurt am Main, Deutschland. Chissà se la nuova Presidente, Christine Lagarde, lo lascerà appeso al muro.