È persin inutile ricordare che ci troviamo in una fase storica estremamente delicata e difficile. Non a livello nazionale dove, al di là della violenza verbale di molti esponenti politici e della pesante e sempre più insopportabile radicalizzazione del conflitto politico, la “situazione è grave ma non è seria”, per dirla con l’aforisma dell’indimenticabile Ennio Flaiano. Semmai, e com’è sotto gli occhi di tutti, sono le dinamiche della geopolitica internazionale a mettere in discussione i tradizionali equilibri politici, economici e commerciali e ad aprire una fase dove, per il momento, non
mancano le incognite e le forti contraddizioni.
Ma c’è un aspetto, almeno quando si parla di rilanciare e di riscoprire un progetto politico europeista, democratico e federalista, che non può essere ulteriormente aggirato o rinviato. Mi riferisco, nello specifico, a quella cultura, a quel pensiero e a quella tradizione che sono stati decisivi e determinanti nel passato per avviare il cammino politico dell’Europa e che possono oggi, e ancora una volta, dare un contributo altrettanto importante e qualificato per la nuova e futura Europa. E questa cultura va sotto il nome e cognome del filone democratico cristiano e della tradizione storica del cattolicesimo politico.
Una cultura che, nei diversi paesi europei, manifesta accenti diversi e diversificati ma che, al contempo, conserva un filo rosso che fa di questa tradizione il perno centrale su cui si può innervare il progetto politico europeista. Certo, l’assenza dei grandi partiti democratico cristiani da un lato e l’affermarsi di spinte nazionaliste, populiste e sovraniste dall’altro ha indubbiamente indebolito le ragioni storiche che hanno dato vita al “sogno europeo”. Mi riferisco al ruolo originario e storico avuto dai padri fondatori del progetto europeista. E cioè, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman.
Ora, e senza alcuna tentazione nostalgica, è del tutto evidente che oltre alla tradizione democratico cristiana e cattolico popolare ci sono anche altre culture democratiche e riformiste che possono, e devono, dare un contributo decisivo per la ricostruzione dell’Europa. Perché anche di fronte ai grandi sommovimenti politici internazionali dopo l’elezione del Presidente Trump al vertice dell’America, l’unità politica dell’Europa non è un miraggio o un feticcio ma resta un impegno preciso a cui i singoli stati nazionali non possono sottrarsi. Ed è proprio su questo versante che si gioca il ruolo e l’apporto dei filoni culturali che storicamente hanno creduto, e tuttora credono, nell’Europa e in quello che può rappresentare nello scacchiere internazionale.
Perché, forse, è anche arrivato il momento per dire che non tutti i partiti sono titolati a parlare di Europa unita e di superamento dei nazionalismi. Certamente non possono assolvere a questo compito, per fermarsi all’Italia, i partiti populisti, ipersovranisti, radicali, massimalisti ed estremisti.
Partiti che anche nel nostro paese, e purtroppo, abbondano. Ma non saranno certamente questi soggetti e questi partiti a dare un contributo qualificante per la nuova Europa. Per la semplice ragione che sono condizionati da una cultura – o da una sub cultura – che vira da un’altra parte. Ecco, forse è giunto anche il momento affinchè le storiche culture europeiste battano un colpo. A cominciare, appunto, da quella più titolata. Ovvero, quella democratico cristiana e cattolico popolare e sociale.