C’è un elemento che spiega perché la sinistra italiana, il cosiddetto “campo largo”, non si schioda dai consensi elettorali che ormai conta da svariati mesi. Questo malgrado gli annunci quotidiani di sfracelli imminenti ad opera del centrodestra: dalla fine della democrazia al regime illiberale ormai alle porte, dalla crisi sociale giunta all’ultimo stadio a un’economia al capolinea, fino all’occupazione sistematica delle istituzioni e alla palese violazione della Costituzione.
Eppure, nonostante questa martellante narrazione, i sondaggi non crescono. Anzi, diminuiscono.
Il linguaggio che non convince
Una delle ragioni – se non la ragione decisiva – di questo immobilismo politico è il linguaggio usato dalla sinistra: radicale e massimalista con Schlein, populista e demagogico con altri, estremista e ideologico con il trio Fratoianni–Bonelli–Salis.
Un linguaggio sempre più simile a quello dell’universo extraparlamentare degli anni ’70 e ’80, fatto di accuse, attacchi personali, promesse di vendette, contestazioni anche violente. Episodi come la difesa del centro sociale Leoncavallo a Milano o le manifestazioni per Gaza e la Palestina lo confermano. È un linguaggio che non evoca cultura di governo, ma contestazione perenne e radicalismo. Persino diverso, in fondo, da quello usato dallo stesso Pci durante la lunga opposizione alla Dc.
Dal fisiologico al patologico
L’ultima dimostrazione è arrivata al meeting di Cernobbio. Qui la promessa di un ribaltone politico, legittima in sé, è apparsa patologica nelle parole usate per annunciarla. Altroché ciò che osservava Carlo Galli, politologo di sinistra, quando descriveva Giorgia Meloni come una Premier rassicurante, “una sorta di garanzia per tutti”, simile a “una Dc molto conservatrice dei tempi passati”.
Una lezione per la sinistra
Gli strateghi della coalizione progressista dovrebbero ricalibrare il linguaggio. Non tanto i contenuti politici, dove ciascuno resta libero di proporre, ma il tono del messaggio. Perché quando è troppo virulento, infiamma i tifosi ma allontana la maggioranza degli italiani. Che non è rivoluzionaria, neppure a intermittenza: è composta, per lo più, da persone di buon senso.