Lo scontro tra Matteo Salvini e Famiglia Cristiana data da lontano, e non solo perché da sempre i vertici leghisti, da Irene Pivetti in poi, hanno sempre vissuto con insofferenza la linea del settimanale dei paolini. Si tratta di due mondi che si guardano con sospetto e incapacità di capirsi, con lo stesso spirito con cui i seguaci di Paolo IV si studiavano con Sadoleto e gli erasmiani.
La tentazione di mettersi a fare il tifo è fortissima. Sarebbe però un errore. È vero che la linea adottata dal ministro dell’interno verso migranti e Rom è contraria alle basi stesse non solo della religione cristiana, ma dell’umanesimo che è la radice della nostra cultura (anche di quella sanamente laica). Allo stesso tempo è difficile immaginare che quella copertina contribuisca a indebolirne l’azione, o a creare un risveglio delle coscienze di quei moltissimi italiani che non riescono a provare un briciolo di umana pietà di fronte agli occhi di Josepha che viene strappata alle acque. Verrebbe da dire: trent’anni di politica e vita comune private dei valori cristiani non sono passati senza lasciare traccia. E a questa costante scristianizzazione Salvini, e Bossi prima di lui, hanno contribuito volontariamente e volenterosamente. Partito povero di idee, tradizionalmente, la Lega ha oscillato culturalmente dal neopaganesimo delle ampolle del dio Po al vangelo e rosario sbandierati 48 ore prima di un voto. Se ci si svuota di Dio si è pronti a riempirsi di qualsiasi cosa in un batter di ciglia: e così Salvini non ha avuto problemi a divenire l’ultimo ed il più perfetto degli atei devoti. Categoria, quest’ultima, che in passato è piaciuta tanto anche alle gerarchie, e mal gliene incolse.
Proprio per questo lo scontro tra Salvini e Famiglia Cristiana andava evitato. Astutamente (e per favore evitiamo di ricordarci che i figli delle tenebre sono molto più astuti dei figli della Luce) Salvini, dopo un primo sbotto di bile, ha corretto il tiro e parlato di perdono nei confronti di chi lo accusa. Artificio retorico che puzza di falso lontano un miglio, ma perfetto nel fornire a chi, tra i cattolici, è in cerca di un appiglio seppur minimo per dargli ragione. Come dava ragione a Oriana Fallaci, che ne “La rabbia e l’orgoglio” si atteggiava (lei, che più laica non si poteva) a più cattolica della Chiesa di Roma; o anche a Giuliano Ferrara che nel nome dei valori di un Occidente cristiano – perché posto ad ovest di Gerusalemme – ci spingeva alla nuova crociata contro Saddam Hussein. Esistono cattolici che hanno sostenuto in passato la tesi della punizione divina dietro cataclismi naturali come il terremoto in Giappone di alcuni anni fa: orecchie del genere sono sempre in attesa costante di una parola che giustifichi una totale mancanza di comprensione e approfondimento del messaggio evangelico.
Ma di fronte a uno schieramento del genere la maniera più efficace di porsi non è quella del tono apocalittico. Accostare Salvini a Satana è come usare l’atomica contro uno sciame d’api. Fa di più il fumo della canapa. Vale il precedente di Berlusconi, che si indebolì definitivamente agli occhi del mondo cattolico solo quando esplose l’evidente incoerenza tra le pile baciate e i comportamenti privati, tra le perdonanze di Celestino e le cene con le olgettine. Ci vuole tempo, perché i tempi maturino. Magari qualcuno non capirà mai, e sarà pronto a danzare attorno al prossimo totem. Ma andando di clava, in questo momento, si rischia di rafforzare Salvini, e le sue false soluzioni.
Intendiamoci: avere il coraggio di indignarsi è cosa positiva. L’immediata scomunica, però, può essere dannosa per una giusta causa come è quella di riportare il livello culturale di questo Paese un po’ più vicino alla decenza. Ambrogio fece bene ad affrontare Teodosio dopo il massacro di Tessalonica, parlando delle sue mani sporche di sangue. Fece altrettanto bene Paolo VI a promuovere la strategia della lenta penetrazione a sostegno delle chiese del silenzio, sottoposte al giogo comunista.
Un’ultima riflessione può essere dedicata, dopo la citazione paolina, al progetto dei cattolici in politica. Colpisce che dalle colonne de Il Giornale un sacerdote e teologo parta proprio dal caso Salvini-Famiglia Cristiana per ribadire il suo no ad ogni progetto riaggregatore. C ‘è già Salvini che difende i veri valori, dice. Coetera tolle.
Bene, vuol dire che siamo dalla parte giusta.