Scenari | Il sovranismo regionale e le conseguenze sulla selezione del personale medico

Anarchia e corporativismo. Con l’autonomia differenziata le regioni potranno allargare i loro margini di manovra in materia di formazione e reclutamento dei medici. Si nota da tempo la volontà di bloccare la mobilità territoriale.

Antonio Saitta

 

La formazione dei medici specialisti è affidata alle Università e finanziata con fondi statali. Poiché il numero delle borse di studio è insufficiente rispetto alle richieste avanzate dai servizi sanitari regionali, le singole regioni hanno negli anni supplito con fondi propri per finanziare borse aggiuntive. Per le regioni è stata anche un’occasione per investire sulla formazione dei propri medici laureati e per questo motivo hanno posto vincoli nella speranza che questi giovani restino a prestare la propria attività nella regione di residenza. I posti sono assegnati attraverso una selezione, ma mentre ai bandi dei corsi finanziati dallo Stato possono partecipare tutti i medici italiani, dire sinteticamente chi può partecipare ai bandi finanziati dalle Regioni è un’impresa ardua.

 

Per la Provincia autonoma di Trento, ad esempio, possono partecipare solo i residenti della Provincia di Trento da almeno due anni e i vincitori devono impegnarsi a lavorare per due anni nella provincia; per la Provincia autonoma di Bolzano si deve possedere l’attestato di bilinguismo e ci si deve impegnare a lavorare a tempo pieno nella provincia per 4 anni; in Basilicata e in Veneto i candidati devono essere residenti nella rispettiva regione da almeno 3 anni e devono impegnarsi a non spostarsi per cinque anni; in Emilia-Romagna i candidati devono aver conseguito il diploma di laurea in uno degli atenei emiliano-romagnoli oppure essere residenti e impegnarsi a lavorare nella regione per un periodo almeno pari alla durata del corso di specializzazione frequentato; la Campania è meno rigida, è richiesta solo la residenza da almeno tre anni; in Piemonte bisogna avere la residenza da almeno 5 anni sugli ultimi 12 e impegnarsi a lavorare in regione per 5 anni; in Lombardia e in Puglia occorre essere residenti da tre anni e garantire un periodo di lavoro nella regione per almeno tre anni; nelle Marche occorre aver conseguito la laurea presso l’Università Politecnica oppure risiedere in un comune della regione; in Sardegna residenza da 5 anni e impegno di tre anni di lavoro nella regione; in Sicilia occorre essere nati o residenti in Sicilia, avere un reddito Isee non superiore a 30.000 euro e un’età non superiore a 35 anni; in Toscana i candidati devono essere residenti da almeno il 31/12/2021, aver conseguito la laurea presso gli Atenei della Toscana e devono impegnarsi per 5 anni di lavoro nella Regione e via di questo passo.

 

E se gli specialisti non mantengono l’impegno di lavorare nella Regione? Devono restituire alla Regione parte del costo della formazione, variabile da regione a regione per una percentuale che va dal 50% all’80%.

 

Ci sarebbe persino da ridere per questa anarchia dei bandi regionali che fa venire alla mente la celebre scena del film “Non ci resta che piangere”, quando ai due viaggiatori (Benigni e Troisi) al confine della signoria fiorentina viene ripetutamente chiesto dal guardiano: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate?  Un Fiorino!”.

 

C’è invece da essere fortemente preoccupati perché con il recente disegno di legge del governo sull’autonomia differenziata le regioni potranno chiedere (e alcune l’hanno già fatto) maggiore autonomia in materia di accesso alle scuole di specializzazione, ivi compresa la programmazione delle borse di studio per i medici specializzandi. Ne consegue che anche le borse di studio finanziate dallo Stato sarebbero gestite dalle Regioni e molto probabilmente con gli stessi vincoli di cui abbiamo sopra riferito. Vincoli  che esprimono già nell’attuale gestione la vera natura del sovranismo regionale che è figlio di un’ansia da prestazione politico-elettorale tendenzialmente capace di generare molto movimentismo ma con pochi risultati: non ha nessuna importanza che il vantaggio di un’entità territoriale avvenga a discapito di altri territori, l’importante è soddisfare un elettorato da sempre molto attento ai suoi confini e poco interessato all’equilibrio del sistema nazionale in cui vive.

 

Il tratto che accomuna tutti gli attuali e diversi bandi regionali, che per fortuna sono adesso il 7/8% di quelli nazionali, è la volontà di bloccare la mobilità dei medici dal Sud al Nord, al momento consistente. E ciò è fatto soltanto in funzione di un rafforzamento delle singole identità regionali o locali, o forse per soddisfare una bulimia di potere che ricorre a un vecchio e noto armamentario: favorire chi è nato o almeno residente da un certo numero di anni in quella determinata regione.

 

L’esperienza dimostra invece che la mobilità di professionisti, anche nei sistemi sanitari, ha sempre prodotto buoni risultati e ne ha accresciuto la professionalità. Oggi i giovani medici, per avere una buona specializzazione, sono pronti a trasferirsi anche all’estero, nelle Università che ritengono ‘migliori’, così come, dopo aver completato il ciclo di studi, sceglieranno di prestare la loro attività laddove ritengono di poter accrescere la loro competenza, almeno nella fase di avvio della professione.

 

La formazione dei medici, anche per quanto riguarda la specializzazione, deve restare di competenza nazionale; deve perciò essere sostenuta dallo Sato che ha il dovere, al fine di salvaguardare l’unitarietà del sistema sanitario, di finanziarla in modo sufficiente per garantire un’offerta formativa che sia adeguata alla domanda. La supplenza attuata dalle regioni su questa materia è un atto ammirabile ma non ripetibile ed ulteriormente estensibile.