Schlein candidata, Prodi dice no e Borghi alza il tiro.

Solo un errore? Il vulnus alla democrazia - perché di questo si tratta in ragione dell’inganno verso gli elettori - va di pari passo con l’ennesima torsione del profilo identitario del Partito democratico.

È stata la condanna di Prodi a suscitare maggiore scalpore. In via di principio, secondo il Professore, la candidatura alle europee deve corrispondere a un preciso impegno, essendo un gesto inammissibile entrare in lista con la prospettiva di una rinuncia subito dopo all’esercizio del mandato. Anche Elly Schlein, dunque, ha ceduto alle lusinghe di un leaderismo che mette a dura prova la trasparenza e la qualità della proposta politica. La conclusione è semplice, anche al di là della reazione prodiana: a sinistra, dove poggia il baricentro dell’opposizione, si consuma una manovra di deteriore opportunismo.    

C’è però da osservare che il vulnus alla democrazia – perché di questo si tratta in ragione dell’inganno verso gli elettori – va di pari passo con l’ennesima torsione del profilo identitario del Partito democratico. È stato Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva al Senato, a mettere in rilievo il carattere politicamente scorretto di una decisione che  fuoriesce dal canone della battaglia, senza se e senza ma, contro la destra populista e autoritaria. Il motivo è presto detto.    

“Non so se le teste d’uovo del Nazareno – ha scritto Borghi sui social – lo abbiano realizzato, ma la decisione di mettere il nome di Schlein nel simbolo e sulla scheda elettorale sposa nei fatti l`idea dell’elezione diretta del premier, e archivia di un botto tutta la retorica sulla deriva bonapartista del premierato. Perché se mette il suo nome per elezioni europee (dove ha già annunciato di desistere dall’elezione), Elly Schlein non potrà che confermare questa impostazione alle prossime elezioni politiche. E quindi come la mettiamo con la melassa sulla deriva antidemocratica del premierato? O forse, ora che sta realizzando il nuovo PDS (Partito di Schlein), Elly recupera il programma istituzionale del PDS originale e della tesi numero 1 dell`Ulivo? In ogni caso portate i sali alla sinistra Dem, e gli ex di Articolo 1, che pensavano di tornare alla Ditta e si ritrovano nel wokismo individualista”.

Dunque, l’appello a una dialettica – Schlein vs Meloni – fortemente radicalizzata, con la conseguente riduzione di spazio per i partiti intermedi, avanza nelle nebbie dell’ambivalenza. Arriva a un punto in cui lo scontro non è più sul “modello” di democrazia, bensì su chi e come lo gestisce, quel modello; come quando, per l’appunto, si punta ad assumere l’identifica postura leaderistica in funzione dell’alternativa (di potere). 

Ecco spiegata allora la diffidenza di una vasta area dell’elettorato, priva al momento di adeguata rappresentanza: il gioco degli specchi tra sinistra e destra non convince perché ripropone l’immagine di una scambievole applicazione “ad usum Delphini” della democrazia. In definitiva l’antagonismo riguarda le persone, non il metodo. E questo, per molti, non va bene.