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Servizi sessuali e codice Ateco: un labirinto di ambiguità

È bene muoversi con circospezione. “Ci vuole un fisico speciale, Per fare quello che ti pare” potrebbero cantare i cultori della prostituzione. Ci vuole un fisco speciale per ricavarci su qualcosa.

Di codici ce ne sono di mille tipi, da quello diplomatico a quello telegrafico non trascurando il codice acefalo e così via. Si parla in questi giorni del codice Ateco, di composizione alfanumerico, utile ad assegnare alle attività economiche un numero di riferimento per essere identificate.

Ai «Servizi di incontro ed eventi simili» è stato assegnato il codice 96.99.92 riferito ai servizi di escort e agenzie di incontro, fornitura di servizi sessuali, gestione di locali di prostituzione. Questo lo stato dell’arte mentre quel numero già richiama quello telefonico molto usato in questi anni per avere conversazioni piccanti con donnine disponibili alla lussuria.

Nel Paese delle continue diatribe la cosa ha suscitato subito scandalo mettendosi in evidenza l’incongruenza tra il divieto di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione e la pratica della prostituzione stessa che non è invece illegale. Insomma una disciplina fiscale, par imposta dall’Europa, travalicherebbe la nostra legge in materia di sesso ed affini. La materia ha del ridicolo nella ambiguità in cui naviga placidamente.

La prostituzione non è un reato ma sono in contravvenzione i clienti che approfittano della situazione. Resta ferma la contraddizione in campo e insoluto il dilemma su come sia possibile vendere il proprio corpo se un cliente corre il rischio costante di una sanzione. Resta in piedi una scena da sotterfugio o di sottobosco, forse lo scenario più stimolante per gli avventori di turno.

Non manca poi il popolo dei protestatari che puntualmente reclama dignità e diritti civili e sociali per i sex workers che chiedono di avere la libertà di organizzarsi come vogliono. Si dice che il giro di affari della questione è intorno ai cinque miliardi ed è per questo che la Lega, tagliando corto a troppi rovelli, sembra pensi che la prestazione sessuale messa in commercio debba essere riconosciuta con relative tasse da versare nelle casse dello Stato. Così ridarebbe integrità e testa ad un codice privo, per Salvini, di pagine decisive. Così, almeno, si metterebbe a frutto un’attività che ad oggi arricchisce solo se stessa.

Prostituire sta per mettere davanti un qualcosa da vendere, in questo caso il proprio corpo. In passato c’è chi si è incapricciato nei distinguo per cui la meretrice si metterebbe all’opera in vista di un guadagno, la prostituta al contrario lo farebbe oltre alla moneta anche per una quota piacere. Il nostro è il paese delle sottigliezze.

In origine e in altre terre, più sbrigativamente con il termine “Escort” ci si riferì a chi scorta qualcun altro per sorveglianza, indicandogli una giusta direzione di marcia e poi nel tempo per accompagnamento e quant’altro ancora di fantasioso.

La disciplina della materia costringe a passi su un terreno sdrucciolo, i partiti dicono e non dicono, mettono il tema alla ribalta e poi si tirano indietro. Chiamano distinguo per dire questo ma anche quello e si andrà avanti così all’infinito per quante sono le varianti delle pratiche amorose e delle categorie degli interpreti oggi sempre più numerose.

Sfruttare è un portare frutto a proprio vantaggio sulle spalle del lavoro di altri. Potrebbe avere anche una accezione positiva, di chi sa cogliere il meglio ad esempio da un terreno giudiziosamente coltivato. Di nuovo si potrebbero dar vita ad infiniti ragionamenti sulla parola e sulla applicazione sul singolo caso e non se ne caverebbe un ragno dal buco. Pratolini ammoniva come “più bravo diventerai nel mestiere, più ti verrà chiaro di essere uno sfruttato” (eppure non è detto che tutti siano d’accordo con lui).

Del resto “sexum” sta ad indicare un taglio, quindi una separazione che rende le cose in qualche modo riconoscibili con possibile nettezza. È esattamente quello che non può attenersi oggi all’amore per così dire moderno. Da Ateco ad alterco il passo breve e ci si deve muovere con ogni prudente circospezione.

Ate, secondo la mitologia greca, era la contraddittoria dea dell’accecamento, che portava gli uomini in errore per poi punirne le cattive azioni. Allo stato attuale sembra, comunque, la più adatta ad occuparsi della prostituzione e delle sue conseguenze.

L’Ate par che sia anche la tessera di riconoscimento dei dipendenti pubblici e potrebbe diventarlo anche per chi si dedica a certe pratiche carnali, con l’ambizione di mettere ordine in una materia che non ne può avere probabilmente di connaturato.

“Ci vuole un fisico speciale, Per fare quello che ti pare” potrebbero cantare i cultori della prostituzione. Ci vuole un fisco speciale per ricavarci su qualcosa, che sappia dare un colpo di coda o di codice al sistema in corso.