Tradizionalmente, almeno sino a quando la politica è stata protagonista e non un semplice e banale accessorio della magistratura o di altri poteri o contro poteri, settembre era il mese dei convegni politici. I convegni della ripresa politica. Certo, su tutti svettavano gli incontri e i meeting delle correnti della Democrazia Cristiana. Non erano semplici convegni di corrente anche se erano promossi dai rispettivi leader. E non erano, com’è altrettanto ovvio, convegni dedicati esclusivamente alle vicende interne alla Democrazia Cristiana. Si trattava, molto più semplicemente, di appuntamenti che dettavano l’agenda politica dell’intero paese. O meglio, che contribuivano a dettare l’agenda
politica e di governo del paese.
Un partito con cultura, progetti e classe dirigente
Certo, parliamo dello storico partito di governo, la Dc e, soprattutto, parliamo di un partito che macinava politica, contenuti politici, progetti politici anche perché era un soggetto che possedeva una precisa e definita cultura politica. Oltre ad una straordinaria e qualificata classe dirigente fatta di leader e di statisti. Per cui Saint-Vincent con Carlo Donat-Cattin, Chianciano Terme o Lavarone con Bodrato, Martinazzoli, De Mita, Rognoni, Anselmi, Galloni, Granelli e molti altri, Sirmione con tutta l’area moderata e conservatrice del partito, rappresentavano tasselli di un mosaico che avevano un unico e grande, se non esclusivo, obiettivo: e cioè, far trionfare la politica in tutte le sue latitudini.
Ora, e mutatis mutandis come si suol dire, chi oggi detta l’agenda politica? Questo era, e resta, la domanda centrale a cui prima o poi occorre pur dare una risposta seria e convincente. Tutti sappiamo che i partiti, o ciò che resta di loro, sono prevalentemente di natura personale e quindi il confronto interno è quasi bandito alla radice. È appena il caso di ricordare come si svolgono i cosiddetti Consigli nazionali di quasi tutti i cartelli elettorali contemporanei per rendersene conto.
La democrazia dell’applauso
Norberto Bobbio, verso la metà degli anni ‘80, denunciava sulla Stampa di Torino la cosiddetta “democrazia dell’applauso” per evidenziare la deriva anti democratica che rischiavano di correre alcuni partiti dell’epoca. Partiti che erano ancora, tuttavia, autenticamente democratici, al netto del Pci che era disciplinato dall’ormai celebre ‘centralismo democratico’. E parliamo della metà degli anni ‘80. Oggi, molto più banalmente, si applaude e basta.
Se, quindi, è difficile, molto difficile, che gli attuali partiti riescano a dettare realmente l’agenda politica del paese, chi sono quelli che hanno la forza, il coraggio e soprattutto l’autorevolezza per indicare una potenziale direzione di marcia? Oggi certamente il Governo e, nel Governo, gli esponenti che hanno maggiore forza, maggiore visibilità e maggiore capacità di indicare le priorità e poi anche e soprattutto di saperle gestire.
Senza partiti, prevalgono altri poteri
Ma, proprio pensando agli storici ed indimenticabili convegni di corrente della Democrazia Cristiana, credo sia doveroso ed anche urgente porsi il problema se gli attuali partiti hanno ancora la capacità, il coraggio e l’intelligenza di porsi come attori decisivi per rialzare il prestigio, il ruolo, la funzione e l’autorevolezza della politica. Senza i quali, è inutile lamentarsi o piagnucolare, saranno sempre e solo altri poteri, altre corporazioni e altre lobby a dettare l’agenda politica. E, di conseguenza, non potremmo che rifugiarsi nella nostalgia per ritrovare la spinta per guardare al futuro. Ma sarebbe, comunque sia, un’operazione alquanto approssimativa ed incerta.