Si parla del futuro dell’ Europa o soltanto di possibili candidature?

Occorre spiegare qual è la vera posta in gioco il prossimo giugno. Di fronte abbiamo quella che, con una intelligente provocazione politica, è chiamata la frontiera dei “nuovi Stati Uniti d’Europa”.

Nel bombardamento quotidiano che accompagna il confronto politico in vista delle prossime elezioni europee, continua a mancare un tassello: ovvero, la prospettiva che vogliamo costruire per l’Europa e, soprattutto, quali progetti politici sono in campo sull’Europa. Perché i temi che attualmente caratterizzano il dibattito, e non c’è da dubitare che la deriva sarà sempre più forte e persistente nelle prossime settimane, sono sostanzialmente due: e cioè, chi si candida dei leader di partito per l’Europa e come si possono comporre le maggioranze politiche dopo il voto

europeo. E cioè, due temi radicalmente lontani, esterni ed estranei rispetto al sentire comune di qualsiasi cittadino italiano e che confermano, purtroppo, un fatto che i vari sondaggisti ricordano insistentemente: il rischio che vada al voto meno della metà degli aventi diritto.

Non a caso, non c’è talk televisivo, accompagnato dalla quasi totalità degli organi di informazione della carta stampata, che ogni giorno non richiamino l’attenzione su aspetti del tutto marginali. Nello specifico, la Schlein si candida nelle cinque circoscrizioni o solo in alcune delle cinque per evitare che le donne del Pd si lamentino della potenziale esclusione a vantaggio dei maschi del Pd? Ma, di grazia, il sistema elettorale per le europee non prevede il proporzionale con preferenze? E che cosa centra essere il numero 2, o 3 o 4 o 5 della lista quando puoi il cittadino/elettore deve scrivere il cognome del candidato? Qui, come ovvio, non c’è la lista dei designati, né quindi degli eletti, che si conoscono già quando vengono depositate le liste. 

Mi riferisco, come ovvio, a ciò che avviene per la Camera e il Senato. Ma nel Pd questo tema non fa breccia perché il tutto si limita a capire cosa farà la Schlein. E quindi paginate intere sulle intramontabili correnti interne, sul simpatico e sempreverde Prodi che dispensa consigli a giorni alterni sul tema e molteplici interviste sugli organigrammi interni. Stesso tema, anche se meno insistente, avviene per la Premier Meloni nel suo partito. Comunque sia, temi, argomenti e riflessioni strutturalmente

autoreferenziali e del tutto lontani da tutto ciò che interessa concretamente i cittadini/elettori.

E poi c’è il secondo tema dominante, quello della formazione delle future maggioranze. Elemento indubbiamente interessante perchè centrale e decisivo per sapere quali saranno anche le future politiche europee nei diversi settori di competenza, ma che evidenziano anche l’eterno richiamo degli organigrammi e dei soli equilibri di potere. Per concludere, come ricordavo poc’anzi, con la pesante lamentela sul fatto che ci sarà, tuttavia, un pesante e massiccio astensionismo che rischia di far precipitare il valore della partecipazione elettorale e quindi del valore e della qualità della democrazia.

Ecco perchè, come sostengono Renzi e pochi altri leader, forse è giunto il momento – se vogliamo invertire la rotta di questo squallido ed arido confronto pre-elettorale – per concentrare l’attenzione su ciò che ci aspetta dopo il voto del 9 giugno. E cioè, molto semplicemente, spiegare qual è la vera posta in gioco con il voto per una eventuale nuova Europa. Con quella che, con una giusta ed intelligente provocazione politica, culturale, programmatica e valoriale, viene chiamata come la frontiera dei “nuovi Stati Uniti d’Europa”. E se questo dibattito non dovesse decollare non lamentiamoci poi il giorno dopo il voto della progressiva ed irreversibile disaffezione dalla vita pubblica, e quindi dalla democrazia di quote consistenti di cittadini italiani.