Caso Bigon, un’occasione mancata per la dignità della politica.

Albertino Bigon, detto “Bibi”, è stato un capacissimo centravanti ed attaccante di calcio, anche lui veneto. La nostra Anna Maria non deve preoccuparsi. Non ha fatto altro che dire la sua.

Raffreddati gli animi, c’è una vicenda di qualche giorno fa che invece non va archiviata all’istante e che può essere di utile memoria a chi si occupa della gestione della cosa pubblica.

Ne ha scritto, sconcertato, anche Pierluigi Castagnetti che nella sua vita politica ne ha viste tante e che ancora riesce a stupirsi per episodi estranei ad ogni canone della pur ruvida prassi politica.

Edmund Burke fu tra i padri del conservatorismo. Nel 1774 venne eletto a rappresentare Bristol, al tempo la seconda città dell’Inghilterra. Fu celebre un suo discorso durante il quale esaltò i valori della democrazia rappresentativa, rivendicando provocatoriamente la sua assoluta libertà di scelta in ordine alle questioni su cui esprimersi; cioè anche contro gli interessi dei suoi stessi sostenitori a cui in quel momento stava chiedendo il voto.

È accaduto che Anna Maria Bigon, consigliera regionale del Partito democratico in quel del Veneto, abbia votato giorni fa, secondo i dettami del suo cuore e della intelligenza, contro il provvedimento di “fine vita” su cui si misuravano le forze delle compagini di maggioranza e opposizione. E ciò malgrado l’indirizzo diverso del suo partito di appartenenza: per questo ieri è stata destituita dall’incarico di vice segretaria della federazione di Verona.

A monte verrebbe da dubitare circa la correttezza di una legge formale del Parlamento a disporre sul suicidio assistito, sfuggendo il senso dell’iniziativa sul piano regionale.

Ora, soprattutto sulle questioni così dette di coscienza, la prassi corrente è sempre stata quella di lasciare libertà ai propri rappresentanti di esprimersi per come sentivano. 

Evidentemente anche questo modo di trattare la materia sta venendo meno perché si è alzato un fuoco ad alzo donna, con una serie di critiche che sembrano composte in modo da prestarsi peraltro facilmente all’effetto boomerang per chi le ha sollevate. 

La Bigon, in sede di votazione, si è “limitata” ad astenersi non accettando il suggerimento di uscire invece dall’Aula al momento del voto, il che avrebbe comportato un calcolo ed un esito diverso della votazione. 

Ha azzardato persino a dire la sua con parole scandalose: “Stiamo trattando uno degli aspetti più intimi della vita di un uomo, che ci grava di un grande responsabilità. Elemento indispensabile per garantire l’effettività dell’autodeterminazione di ogni persona è la disponibilità delle cure palliative, che vanno potenziate e che potrebbero ridurre le domande di suicidio medicalmente assistito”.

La reazione non si è fatta attendere. “La libertà di coscienza dovrebbe comprendere anche la leale collaborazione di un gruppo” avrebbe detto in sostanza la capogruppo Camani. 

Rincara la dose il Vice Capogruppo Montanariello che, a quanto si legge, avrebbe commentato: “Quella di martedì è stata una pagina brutta per il Consiglio regionale. Nel nostro gruppo non ho condiviso la scelta di concedere libertà di coscienza”.

Concedere sta per ritrarsi davanti a qualcuno, e quindi magnanimamente di lasciargli agio di fare come crede. 

Andrebbe osservato che in tema di libertà di coscienza non va data licenza di concessione al prossimo perché la coscienza è qualcosa che attiene connaturatamente ad ogni umano che ne dispone pertanto per come ritiene senza chiedere permessi a nessuno. 

C’è aria di mordacchia in quel partito che rispolvera la passione per la disciplina. Non a caso la mordacchia è detta anche la briglia dei muti, guai a chi proferisce parola in dissenso dal padrone. 

Non è così che si difende il consenso, anzi lo si impoverisce. 

Se il Pd avesse tirato fuori un comunicato dove si esprimeva comunque il rispetto se non l’apprezzamento verso la manifestazione di autonomia della Bigon ne avrebbe guadagnato in prestigio ed in voti per il centuplo, dando lezioni di politica alla politica.

Ha preferito la difesa del fortino, imbastendo intanto un imbarazzante processo mediatico – fino alla decisione presa dagli organi provinciali del partito – ai danni di una sua esponente, rimarcando come non ci sia spazio per “un approccio ideologico” nel suo campo. 

Parrebbe piuttosto che sia proprio questa censura ad avere un gretto sapore ideologico di chi giudica senza tener conto della bellezza delle diversità e delle sensibilità presenti in politica come altrove.

Il leitmotiv di lamentele è quello di aver perduto un’occasione per dare una lezione alla maggioranza alla guida della Regione. In tutti i commenti brucia miseramente assai più questo che la questione in sé, scaduta immediatamente in secondo piano, già nel dimenticatoio.

Al coro di critiche non è mancato il commento stereotipato e baldanzoso di Erika Baldin, 5 Stelle, che accusa la Bigon di avere “la responsabilità di dividere il fronte progressista delle opposizioni”. Tanto effetto con una sola astensione: c’è veramente da sorprendersi per il potere in mano ad una sola semplice consigliera. 

+Europa, figuriamoci, non ha voluto essere da meno con giudizi negativi così come la rappresentante de “Il Veneto”, (suona più come il nome di un giornale che quello di un gruppo politico), che ha valutato il fatto in centimetri, dicendo di una Bigon non all’altezza della situazione.

Il Pd non ha difeso la sua consigliera, anzi ha contribuito incoscientemente alla sua lapidazione aggiungendosi al tiro degli altri.

Albertino Bigon, detto “Bibi”, è stato un capacissimo centravanti ed attaccante di calcio, anche lui veneto. 

La nostra Anna Maria non deve preoccuparsi. Non ha fatto altro che dire la sua. Forse farà la fine del Soldatino di piombo. Priva di una gamba e di un partito a sostegno, annegherà da principio in un mare di critiche desolanti per essere poi ripescata e conoscere nuova vita. 

Burke, si starà spellando le mani riconoscendole forza e temperamento. Il bigotto Pd ha fatto un clamoroso autogol.