A differenza del passato, non c’è più un partito di riferimento dell’area cattolica. Sono mutate le condizioni storiche, sono mutati i parametri culturali. Tuttavia, se non vogliamo rassegnarci a una riemergente confusione tra potere temporale e potere spirituale, la questione della presenza pubblica del laicato cattolico torna d’attualità. Bisogna inventare una nuova formula.
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Se possibile, possiamo anche smettere di parlare per un attimo della sceneggiata dei 5 stelle – un partito populista, demagogico, antiparlamentare che ha fatto del trasformismo e dell’opportunismo politico e parlamentare la sua cifra distintiva; della nuova identità e del “nuovo corso” del Pd di Letta, sempre più lontano dalle sue ragioni fondative; della “federazione” del centro destra che interessa poco alla politica italiana e anche, almeno così pare di capire, agli stessi partiti di quello schieramento.
No, in attesa di vedere come finirà al Senato la discussione e il voto sulla ormai famosa legge Zan, è riemersa forse – per dirla con il vice direttore dell’Huffingtonpost Alessandro De Angelis – una nuova “questione cattolica” nel nostro paese.
Certo, il tema è antico e periodicamente risuona nelle corde del dibattito politico italiano. E, come ovvio e persin scontato, è destinato a cambiare registro e coordinate di volta in volta. Ma un fatto è indubbio. Attorno al dibattito sulla legge Zan sono emersi almeno tre elementi che portano, giustamente, a parlare di una nuova ed inedita “questione cattolica”.
Innanzitutto non esiste più un partito di riferimento per la maggioranza dell’area cattolica italiana. La Dc, come il Ppi, appartengono ormai alla storia della politica italiana; i partiti personali vivono alla giornata e hanno come principale priorità quello di aumentare i follower del “capo” a livello quotidiano; e infine non esiste più una classe dirigente di riferimento. Non esiste né a livello politico, né a livello culturale. Sono costanti diverse dal passato ma che non possiamo non prendere in seria considerazione.
In secondo luogo è tramontata la cosiddetta “cultura della mediazione”. Un elemento, questo, che ha rappresentato storicamente un asset costitutivo e decisivo della tradizione del cattolicesimo politico italiano. Una prassi che ha permesso di superare storiche difficoltà e radicali contrapposizioni, che si manifestavano all’attenzione della politica tra i vari partiti in quel particolare momento storico. E proprio grazie alla “cultura della mediazione” i cattolici italiani sono diventati nel tempo classe dirigente e, soprattutto, hanno saputo incidere e condizionare la stessa evoluzione della politica italiana.
In ultima istanza si corre il serio rischio che, di fronte all’assenza di un partito – o più partiti – di riferimento, di fronte alla sostanziale assenza di una classe dirigente autorevole e qualificata e di fronte ad una assenza di una cultura politica di ispirazione cristiana capace di orientare e condizionare le scelte dei singoli partiti, il rapporto ritorni ad essere quello tra la Chiesa italiana, nelle sue diverse articolazioni, e il potere politico. Cioè il Governo e il Parlamento. Insomma, e pur senza volerlo, ad un rapporto diretto e non mediato tra il ”potere temporale” e il “potere spirituale”.
Ecco, proprio di fronte ad un quadro del genere, riemerge in tutta la sua complessità una nuova e diversa “questione cattolica”. Ed è per questi motivi che si rende sempre più necessaria una presenza pubblica dei cattolici. Laica, ma profondamente ancorata alla cultura e alla tradizione del cattolicesimo politico italiano. Coerente, ma senza alcuna deviazione clericale o confessionale. E coraggiosa, senza inchinarsi all’ormai imperante “politicamente corretto” che detta le condizioni dell’agenda politica inseguendo le mode. Solo così si potrà affrontare, seriamente e senza complessi di inferiorità, la nuova ed inedita “questione cattolica”. Come, giustamente, ci ha ricordato nei giorni scorsi il vice direttore dell’Huffington Post Alessandro De Angelis.