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lunedì, 8 Settembre, 2025
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Società secolarizzata e cattolici divisi: cos’è il centrismo, vocazione o condanna?

L’ultimo intervento di Marco Follini rilancia il dibattito sul ruolo dei cattolici e sul destino del centro politico in Italia. Ma in una società secolarizzata, esiste davvero la domanda di un nuovo centro?

Leggo spesso Marco Follini. Un colto democristiano doc, ma con lo sguardo rivolto al futuro. Non indulge in nostalgie per una nuova Dc o per un partito di centro cattolico, naufragato e frammentato in partitini personali, con simboli perfino tenuti sotto chiave.

E tuttavia mi ha incuriosito la sua attenzione per un nuovo centro politico, che egli descrive senza aggettivi e “senza bandiere”. Un centro collocato solo nell’orizzontalità geometrica, senza approfondirne i dettagli sociologici, politici e soprattutto culturali. In un suo recente articolo sulla Voce del Popolo, ripreso da questo giornale, Follini si interroga sul “destino politico dei cattolici”. Non nasconde il bisogno di un centro politico indefinito, che comprenda anche i cattolici italiani e che sia alternativo agli sbilanciamenti bipolari che viviamo: da un lato la standing ovation riminese alla Meloni e al suo FdI, dall’altro un Pd in mano alla Schlein, con il seguito di cattolici post Margherita assenti dal dibattito pubblico.

Secondo Follini, tanto gli applausi di Cl quanto, per converso, il silenzio dei cattolici “sotto scacco” della Schlein, nascondono la loro reciproca marginalità.

La questione della marginalità

Sulla marginalità, Follini non ha tutti i torti. Con un dubbio, però: chi sono oggi i cattolici italiani, e come li si pesa e valuta? Sono solo quelli che dichiarano nei sondaggi di andare a messa? O anche quelli che ignorano del tutto la Dottrina sociale della Chiesa?

È proprio da questa “reciproca marginalità” che nasce il bisogno di un nuovo centro, definito tempo fa da Angelo Panebianco come spazio politico “da cui dipende la stabilità di ogni democrazia” e che egli stesso ha interrogato sul “perché si è svuotato”.

D’altronde Norberto Bobbio, pur riconoscendo l’importanza del centrismo democristiano nel secondo dopoguerra, dialogando a distanza con Augusto Del Noce ha lasciato che Lorella Cedroni titolasse un volumetto con la domanda Centrismo, vocazione o condanna? (Libri di Reset, editore Marsilio, 2009). A significare che il centro politico non è solo una probabile “vocazione” dell’elettorato italiano, ma può anche diventare una sua “condanna”.

Tra frammentazione e unità

Le mie opinioni le ho già espresse più volte sul Domani d’Italia. Non ho molta fiducia nella frammentazione dei partiti, specie se personalizzati. Per il futuro, ho tradotto in politica due metafore di papa Francesco: quella della “stessa barca” (omelia del 27 marzo 2020) e quella della solidarietà universale, sicuramente utopica, della Fratelli tutti. Bisogna essere il più possibile vicini e uniti, remare insieme per affrontare le sfide epocali senza frantumarsi in pezzetti irrilevanti. Il pluralismo è altra cosa dalla mera ripetizione o dalla fotocopia.

Pur tifando per un sano bipolarismo che eviti un insignificante spezzettamento, non ho mai avuto pregiudizi su un altrettanto sano centrismo, socialmente e culturalmente rappresentativo. Ma pur rispettando la serietà di Follini, c’è un aspetto che non capisco bene: quale marginalità hanno quei cattolici ciellini che hanno votato Meloni e a Rimin l’hanno applaudita?

Si tratta di cattolici di destra e clerico-conservatori, come li definì Sturzo all’inizio del Novecento, ben visibili sin dagli anni ’50 in Cl, con don Giussani, Roberto Formigoni e il “Movimento Popolare”: contro il divorzio, contro ogni sentore di sinistra. Poi confluiti nel tifo per Berlusconi, quindi negli applausi a Salvini col rosario in mano, e oggi in quelli per la Meloni. Diversa è la condizione, purtroppo vera, dei cattolici confusi nel Pd: cattolici di sinistra, oggi in profondo silenzio.

Ripensare il centro nella società secolarizzata

Arrivati a questo punto, riaffiorano alcune mie vecchie considerazioni sul futuro politico italiano. Occorre ripartire da definizioni realistiche di destra e sinistra, abbandonando quelle consegnateci dalla storia, e ripensare di conseguenza il significato del centro. Non più spazio religioso, né rifugio dei ceti medi e della borghesia, ma mediatore tra istanze polarizzate e radicalmente alternative.

Colpisce che nel Dizionario di politica (Utet) curato da Bobbio, Matteucci e Pasquino, non ci sia una voce dedicata al “Centro politico”: vi si rinvia solo allo “Spazio politico”, inteso come area geometrica di conflitto e competizione elettorale, più che come dimensione ideale, culturale e politica. Analoga assenza nel Dizionario delle idee politiche (Ave), diretto da Berti e Campanini, che tratta solo di “centrismo” in chiave storica, rimandando alla Dc.

Ecco perché, quando sento evocare il centro politico cattolico come unico spazio possibile per il cattolicesimo politico, prendo le distanze. Preferisco rimanere ancorato alla “società concreta” che abbiamo di fronte, come raccomandava don Luigi Sturzo. Una società totalmente secolarizzata, con matrimoni religiosi e cresime in calo, chiese e seminari vuoti, associazionismo cattolico ridotto ai minimi termini, religiosità intimistica o partecipata da remoto.

Oggi, secondo un’indagine della rivista “Il Regno”, il 46% dei cattolici praticanti che vanno a votare sceglie FdI, FI o Lega. Ciò pone la domanda cruciale: siamo sicuri che manchi un centro politico solo perché si invoca un’offerta specifica, quando non sappiamo nemmeno se esista una domanda reale? E siamo certi che un sistema proporzionale riduca l’astensionismo, o che un centro politico cattolico possa davvero rappresentare i cattolici italiani del nostro tempo?