Andrea Carraro
Vorrei parlare del meritorio ripescaggio di un libro di Mario Picchi, Il Muro Torto, che uscì nel ’64 del secolo scorso, oggi riproposto da Narhval Edizioni (184 pagine, 17 Euro) con la prefazione di Filippo La Porta che ne fissa le coordinate e i punti di forza, tratteggiando altresì un breve ritratto dell’autore livornese, romano d’adozione, che morì nel 1996: noto soprattutto come traduttore e prefatore di classici della letteratura francese (I miserabili di Victor Hugo, il Meridiano dei Racconti di Maupassant), come giornalista culturale e firma dell’Espresso e di La Repubblica. Scrisse anche per Belfagor, La Fiera letteraria, Galleria, ecc.
Protagonista di questo suo romanzo è Carlo, che fa un mestiere d’altri tempi, rappresentante di inchiostri per penne stilografiche, – il quale vive in un’isola verde in prossimità del Muro Torto, – a un passo da Piazza del Popolo e da Villa Borghese, dal Pincio, da Via Veneto, “un seme di libertà nel fianco della metropoli”, così lo definisce, dal quale può vedere, senza essere visto, tante cose: le macchine che sfrecciano a gran velocità sulla strada verso Porta Pinciana o piazzale Flaminio, “impenetrabili come scarafaggi in fuga”, la gente che passa sul marciapiedi, gli operai impegnati in qualche lavoro di manutenzione stradale, qualche coppietta che si apparta nel verde ad amoreggiare.
Il Carlo di Picchi non potrebbe mai vivere in un condominio insieme ad altre persone socialmente simili a lui, perché egli è “un sognatore asociale e disadattato”, ci spiega il critico La Porta, apparentandolo al Ballard de L’isola di cemento, “un uomo del sottosuolo, che si è creato un sottosuolo protetto, ad altezza d’uomo”, innamorato della propria libertà e della propria solitudine, in un luogo quasi inaccessibile, protetto dalle piante e dagli alberi, dove sogna talora di portarci una compagna “che accetterà di dividere con me la solitudine, la pace e una ricchezza forse invisibile agli occhi dei più, ma vera. Insieme cureremo l’orto, il giardino la casa”.
Coprotagonista del romanzo è la città di Roma, potremmo dire con il prefatore, il suo centro storico, soprattutto, che Carlo percorre in lungo e in largo, a piedi ma anche in tram, – suo privilegiato mezzo di spostamento, non possedendo un’automobile, ma anche osservatorio permanente sul traffico cittadino, sui passanti, sulla folla anonima dei viaggiatori, soprattutto sulle giovani donne cui dedica talvolta analisi minuziose e appassionate, immaginando le loro vite sulla base del loro aspetto, del loro abbigliamento.
Continua a leggere
https://www.succedeoggi.it/2024/08/mario-picchi-sognando-roma/