In un succoso articolo Elena Stancanelli su “La Repubblica” ci ricorda l’unione tra Jean Seberg e Romain Gary. Entrambi moriranno suicidandosi, a distanza di tempo l’uno dall’altro, lasciando un patrimonio di bellezza e cultura che vale la pena recuperare. Gary, tra i suoi pregevoli lavori, scrive “L’educazione europea” e ne ottiene successo.
La trama è riassumibile nella impresa di partigiani polacchi che combattono l’esercito tedesco. Ciascuno dei combattenti ha vite e storie diverse alle spalle. Insieme ad altri personaggi ed a Janek, un ragazzo, costretto a crescere in fretta per fronteggiare la crudeltà della guerra, c’è ad esempio anche un calzolaio ucraino che scoprirà in seguito di essere il padre di un giovane e capace generale dell’Armata russa.
La figura di maggior spicco è Dobranski che per le sue qualità diventa il leader del gruppo e tra una azione ed un’altra scrive appunto “L’educazione europea” che si traduce in alcune significative righe: “In Europa abbiamo le cattedrali più antiche, le più vecchie e celebri università, le più grandi biblioteche, ed è qui che si riceve l’educazione migliore, sembra che vengano in Europa da tutti gli angoli del mondo per istruirsi. Ma alla fine, quel che ti insegna tutta questa famosa educazione europea è come trovare il coraggio e delle buone ragioni, valide e convenienti, per ammazzare un uomo che non ti ha fatto nulla e che se ne sta seduto sul ghiaccio con i pattini e a testa china, aspettando la fine”.
Si sogna piuttosto un mondo dove: ” Non ci sarebbero più state guerre, gli americani e i russi avrebbero unito i loro sforzi fraterni per costruire un mondo nuovo e felice dal quale il timore e la paura sarebbero stati banditi per sempre. Tutta l’Europa sarebbe stata libera e unita: ci sarebbe stata una rinascita spirituale …”.
Il racconto apre anche alla speranza “La verità è che ci sono momenti nella storia, momenti come quello che stiamo vivendo, in cui tutto quel che impedisce all’uomo di abbandonarsi alla disperazione, tutto ciò che gli permette di avere una fede e continuare a vivere, ha bisogno di un nascondiglio, di un rifugio. Talvolta questo rifugio è solo una canzone, una poesia, una musica, un libro. Vorrei che il mio libro fosse uno di quei rifugi e che aprendolo, alla fine della guerra, gli uomini ritrovassero intatti i loro valori e capissero che, se hanno potuto forzarci a vivere come bestie, non hanno potuto costringerci a disperare. Non esiste un’arte disperata: la disperazione è solo una mancanza di talento”.
C’è un istinto di salvezza negli uomini che non deve conoscere amputazioni: “quanti usignoli avevano cantato così nella notte attraverso i secoli? Quanti usignoli umani, fiduciosi e ispirati sono morti cantando questa eterna e meravigliosa canzone? Quanti altri ne moriranno ancora nel freddo e nei patimenti? Quanti secoli ci vorranno ancora? Quanti usignoli…vivere senza opprimere, perdonare senza dimenticare nessuna cosa importante muore”.
Questo romanzo di trincea, dove gli uomini sono costretti a rifugiarsi continuamente nelle buche per non esporsi ai colpi nemici, a vivere sotto terra per poi un giorno riemergere al pari di una resurrezione, è una occasione per farci riflettere sui giorni d’oggi.
Jeans Seberg, protagonista della nouvelle vague, della nuova onda, soffriva di depressione a causa della persecuzione patita a causa della FBI che l’aveva messa nel mirino per la sua difesa dei diritti degli afroamericani. Una persecuzione che l’aveva aveva costretta per un periodo a nascondersi, a ripararsi dalla ottusità di un certo potere.
A sua volta Gary, trascurato dalla critica, aveva cambiato nome vincendo con diversa identità nuovamente il premio Goncourt con “La vita davanti a sé,” un romanzo in cui il sentimento dell’amore prevale sui legami di sangue e le difficoltà del presente si dissolvono di fronte alla voglia di vivere. Così la storia di una prostituta ebrea che adotta un ragazzo arabo all’interno della banlieu di Belleville.
In Europa e nel mondo non ci sono venti di guerra, minacce di conflitti che possono degenerare in peggio. Siamo già nel dramma ed ancor più non cessiamo ogni giorno di precipitarvi più nel fondo. L’Europa per prima, per il suo ruolo nella storia, dovrebbe rieducarsi, tirare fuori il meglio dei suoi valori per dare un nuovo indirizzo non solo a se stessa ma all’intero mondo. L’Europa dovrebbe riaffiorare sollevandosi dalla fossa in cui è caduta e permettere ai suoi uomini e donne di esporsi senza più temere, forti d’amore.
Michel, il protagonista di “Fino all’ultimo respiro”, film manifesto della Nauvelle Vague, si rivolge a Patricia rimproverandola: “Ahimè, Ahimè sono innamorato di una ragazza che ha una nuca deliziosa, un bellissimo seno, una bellissima voce, dei magnifici polsi, una fronte magnifica, delle stupende ginocchia ma che però è una vigliacca”.
Par che parli all’Europa priva di piglio per rischiare la responsabilità della pace e di oltre di meglio ancora, un continente che subisce passivamente l’onda dei fatti, piuttosto che alimentarla, standoci saldamente in groppa.
La guerra finirà. Già troppo spazio sarà rubato dalle croci cimiteriali ai campi di grano. La guerra finirà e avrebbe un senso solo se non avesse mai fine. La guerra finirà e la memoria passerà al dopo. A rimetterci, inutilmente, come sempre, saranno solo i morti.