Sulla festa della Liberazione il macigno di un risorgente estremismo

Sono passati molti decenni ma il copione resta sempre lo stesso. E il 25 aprile 2024, e tutto quello che l’ha preceduto, ci consegna una pagina ancora una volta poco incoraggiante e molto nostalgica.

La politica, come ben sappiamo, non è mai astrazione. È pur sempre legata, seppur con modalità e metodi diversi, alla quotidianità e alla vita concreta delle persone. E anche la celebrazione delle date storiche per il nostro paese, e gli eventi che vengono organizzati di conseguenza, offrono l’occasione per misurare la qualità e la maturità del dibattito politico. È il caso, nello specifico, delle manifestazioni legate alla Festa del 25 aprile. Il 25 aprile del 2024.

Ora, al di là del giudizio che ognuno di noi può e deve dare sulle mille manifestazioni che sono state organizzate in tutto il paese, è indubbio che emergono almeno due elementi sufficientemente oggettivi che difficilmente possono essere messi in discussione. Sempreché, come ovvio, non prevalgano la tifoseria e il settarismo. Da un lato la difficile, in alcuni settori della destra – seppur minoritari – a pronunciare parole chiare e definitive sull’antifascismo, sulle radici culturali e politiche di quella nefasta e drammatica esperienza e, soprattutto, sulla necessità di recidere definitivamente i legami, anche solo simbolici ed emotivi, con il ventennio.

Sul versante opposto, però, emerge un dato molto più preoccupante ed inquietante. Perché è la sinistra, nelle sue multiformi e diverse espressioni, ad avere subito un processo di radicalizzazione politica tale da averla portata nella sua interezza a giocare un ruolo sempre più massimalista ed estremista nel declinare la sua concreta iniziativa politica. E questo al di là e al di fuori della violenza – verbale e fisica – emersa in molte manifestazioni di piazza contro la destra, il centro destra e l’attuale Governo Meloni. Del resto, è appena sufficiente ascoltare e prendere atto delle parole d’ordine dei nuovi “guru” e dei simpatici ”martiri” della sinistra creati per l’occasione – dallo scrittore Scurati alla giornalista Bortone, dal sempreverde Saviano all’estremista Montanari – per arrivare alla persin troppo facile conclusione che ormai la linea prevalente è quella di estremizzare sempre di più il messaggio politico frutto di un percorso culturale fatto di anatemi ideologici, pregiudizi personali e attacchi politici frontali contro chiunque non sia riconducibile a quel campo politico. 

Tradotto in termini politici, è una regressione nostalgica – anche se nel sottosuolo della sinistra ex e post comunista questo tarlo non è mai scomparso del tutto – ad una stagione dove prevaleva la sub cultura degli “opposti estremismi”. E la celebrazione di questo 25 aprile – anche se si tratta di una pagina che viene prontamente archiviata perché puramente propagandistica – ne è stata la prova plateale che conferma, ancora una volta, quella deriva.

Ed è in un quadro del genere che la spinta a creare una sinistra riformista e di governo priva di pregiudiziali ideologiche e di criminalizzazione politica nei confronti degli avversari, cede il passo ad una deriva massimalista e radicale. Perché se i “vate” del nuovo corso del Pd e dintorni ritornano ad essere i pifferai dell’attacco ideologico, della criminalizzazione politica degli avversari/nemici, della esaltazione della “superiorità morale” e della sistematica denigrazione di tutto ciò che non è riconducibile al campo della sinistra ex e post comunista – seppur benedetti e supportati da tutti i circoli radical chic milionari televisivi, artistici, cinematografici, accademici e giornalistici – la cultura e la prassi riformista sono destinati a giocare un ruolo del tutto marginale nel prosieguo di quella esperienza. Insomma, ci sono tutte le premesse, mutatis mutandis, di un salto all’indietro di 40 anni e oltre quando le parole d’ordine dei comunisti erano quelle di liquidare e abbattere definitivamente “il sistema di potere della Democrazia Cristiana”.

Sono passati molti decenni ma il copione resta sempre lo stesso. E il 25 aprile 2024, e tutto quello che l’ha preceduto, ci consegna una pagina ancora una volta poco incoraggiante e molto nostalgica. Peccato, abbiamo di nuovo perso una ghiotta occasione per far crescere una vera democrazia dell’alternanza e, soprattutto, per ricercare e consolidare quella “riconciliazione” politica che era la vera mission della Festa del 25 aprile promossa e ideata da Alcide De Gasperi.