Tarquinio e Cuffaro, due candidati alla prova dei veti.

La politica ha bisogno di uscire da una bolla d’infinita pretestuosità e ipocrisia. Non c’è motivo per temere, in definitiva, che siano proprio gli elettori ad apprezzare la validità di alcune candidature.

Due casi diversi, due storie diverse, due prospettive politiche diverse: sulle candidature di Tarquinio e Cuffaro, entrambe divenute simbolo di divisione e nondimeno unite, per una specie di sortilegio, dal filo rosso della discriminazione, si gioca una partita complessa, rispettivamente nel Pd e nella lista pot-pourri confezopnata da Renzi e Bonino. Non li vogliono in lista.

A difesa dell’ex direttore di “Avvenire” è intervenuto ieri Graziano Delrio “Sarebbe un errore gravissimo – ha detto in una intervista a “Repubblica” – non candidare Marco Tarquinio. È un personaggio di assoluto livello, rappresentante di una sensibilità diffusa del mondo cattolico, sempre impegnato dalla parte degli ultimi, a partire degli immigrati. È davvero un valore aggiunto per le nostre liste, al pari di altri candidati civici. Una ricchezza. Sento l’esigenza di difenderlo da alcuni attacchi che non condivido”. 

Invece su Salvatore Cuffaro, per tutti semplicemente Totò, è piovuto un pesante silenzio di imbarazzo, interrotto da smentite e dinieghi a riguardo del suo possibile coinvolgimento elettorale. In verità, il siciliano Faraone ha precisato nei giorni scorsi, a nome di Italia Viva, che Cufffaro “non si candiderà e la Dc non è e non sarà al Tavolo della Lista Stati Uniti d’Europa”. Ciò però non toglie che un accordo con il suo mondo si voglia trovare, per evitare che il bacino di voti dell’ex presidente di Palazzo dei Normanni, tornato alla politica attiva dopo aver saldato il conto con la giustizia, possa rifluire verso altri lidi politici. 

Ebbene, se l’ora del populismo è scaduta, almeno secondo gli auspici dei più, una riflessione serena dovrebbe aiutare tanto il Pd quanto gli Stati Uniti d’Europa a rimuovere i veti sulle due candidature oggetto di contestazione. Il Pd ha l’esigenza di coprire il vuoto lasciato da David Sassoli, anche se l’ex presidente dell’Europarlamento ebbe nei confronti di Putin quell’atteggiamento di fermezza invocato oggi dai “riformisti” proprio contro Tarquinio; e tuttavia, per molti versi, questi ha il profilo idoneo a rappresentare alla maniera di Sassoli il filone del solidarismo (e dunque del pacifismo) di matrice cristiana. 

Dall’altro lato, invece, si va per le spicce: Cuffaro è ritenuto un ingombro, sebbene in privato lo si vezzeggi. La sua storia costituisce un problema. Che dire? Forse la peculiare tradizione garantista dei radicali, di cui la Bonino è l’ultima autorevole interprete, dovrebbe indurre a considerare che un cittadino restituito alla pienezza dei suoi diritti civili e politici, con pieno ristoro della sua dignità personale dopo il lavacro della sanzione penale, non può e non deve essere sacrificato sull’altare di un moralismo fazioso che serve principalmente a bloccare la sua voglia di misurarsi con l’elettorato.

La politica ha bisogno di uscire da una bolla d’infinita pretestuosità e ipocrisia. Se è vero che le scelte dei partiti o dei cartelli elettorali rispondono sempre a logiche molto stringenti, di cui sono responsabili i gruppi dirigenti nella loro autonomia, in ultimo spetta però agli elettori formulare il giudizio che più conta ai fini del consenso. Non c’è motivo, dunque, per temere che siano proprio gli elettori ad apprezzare la validità di candidature – quelle appunto di Tarquinio e Cuffaro – per le quali parrebbe applicarsi al momento un pregiudizio aspro e finanche odioso.