Il rifiuto di Zelenskyj di firmare obtorto collo l’accordo gettatogli sul tavolo dal segretario al Tesoro americano Scott Bessent è stato accolto in Ucraina come una vittoria al fronte.
Più precisamente come la riconquista di Pishchane, avvenuta in quelle stesse ore segnando una svolta decisiva a favore di Kyiv sul fronte orientale di Pokrovsk.
Un consigliere presidenziale ucraino che ha accettato di parlare coi colleghi di “The Washington Post” ha paragonato quell’offerta alla spartizione delle colonie africane nel XVIII secolo, mentre un altro ha scherzato dicendo che l’Ucraina farebbe di tutto pur di contare sul sostegno degli USA, incluso fornirgli le uova di gallina in surplus per far fronte al rincaro di quel prodotto in America.
Di fatto, nero su bianco gli Stati Uniti non volevano solo il controllo del 50% delle Terre Rare ucraine (17 elementi chiave per il green deal) ma anche d’altri metalli rari e materiali critici come litio, uranio e grafite (di cui l’Ucraina dispone in gran quantità) insistendo affinché Zelenskyj firmasse immediatamente ‘un’offerta che non si può rifiutare’ che però non comprendeva alcuna specifica garanzia di sicurezza per Kyiv.
In pratica, quello proposto al presidente dell’Ucraina non era nient’altro che un altro memorandum d’intesa – peraltro regolato dalla legge di New York – come quelli siglati in passato da quei suoi predecessori che svenderono l’enorme deterrente nucleare (il terzo al mondo) e altri beni di cui disponeva il loro Paese in cambio di generiche e aleatorie promesse.
In piena continuità con la politica intrapresa fin dal suo insediamento, Zelenskyj s’è cortesemente rifiutato di firmarlo rimarcando un concetto espresso appena pochi giorni prima con un provvedimento a lungo atteso e acclamato a furor di popolo, che prevede il sanzionamento di quegli individui che hanno svenduto l’Ucraina nell’interesse della Federazione Russa.
«Quel denaro andrà restituito all’Ucraina per essere trasferito all’esercito» ha detto Zelenskyj, spiegando i motivi per cui il suo stesso predecessore Petro Poroshenko figura in quella lista.
[…] Non stupisce affatto, dunque, la replica di Volodymyr Zelenskyj alle spudorate avance americane, così come era intuibile che Washington non avesse il minimo interesse ad avallare l’ingresso di Kyiv nell’Alleanza Atlantica: qualora infatti fosse quest’ultima a costituire la maggior garanzia di sicurezza per l’Ucraina, gli americani non avrebbero più nulla da mettere sul piatto della bilancia in cambio dell’accesso prioritario alle Terre Rare ucraine.
Con buona pace di chi per anni ha venduto la strenua resistenza ucraina come una guerra per procura degli americani contro i russi per espandere la NATO sempre più a Est, ecco appianato ogni ipotetico dubbio.
Negli ultimi tre anni l’Ucraina ha ricevuto dall’Occidente circa 267 miliardi di euro: senza discontinuità, a oggi le istituzioni e i Paesi membri dell’Ue ne hanno dati 132,26, mentre gli Stati Uniti 114,15 e con molti tentennamenti (per sei mesi la frangia repubblicana del Congresso ha bloccato il sostegno a Kyiv, compromettendo il corso della guerra). In termini d’assistenza finanziaria e umanitaria, con 70 miliardi l’Europa ha superato gli USA (che ne hanno elargiti 50), mentre circa gli aiuti militari c’è sostanziale parità (62 miliardi da Bruxelles, contro 64 da Washington).
Di fronte a tali evidenze e all’atteggiamento americano, ecco perché Zelenskyj ha intanto proposto all’Ue d’estrarre congiuntamente uranio, litio e titanio (l’Ucraina ha le maggiori riserve europee dei primi due elementi, mentre è fra i leader mondiali del terzo), ribadendo che «Kyiv non accetterà alcun esito dei negoziati USA-Russia».
Fonte: La Ragione – 18 febbraio 2025
Titolo originale: Si può rifiutare. (Occhiello) L’Ucraina non è una miniera da spartire.
[Articolo pubblicato per gentile concessione dell’autore d’intesa con il direttore del quotidiano che ospita il testo originale]