Tra i nomi scelti da Papa Francesco per il nuovo collegio cardinalizio c’è anche quello di Mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e di Susa. Un annuncio, atteso ma forse ancora inaspettato, arrivato direttamente al termine dell’Angelus di domenica 6 ottobre. Un incarico, peraltro prestigioso e autorevole, che verrà formalizzato al concistoro fissato per l’8 dicembre.
È inutile nascondere che la notizia romana ha innescato, a Torino e nell’intero Piemonte, una reazione di gioia e di grande incoraggiamento per la chiesa torinese che si trova ad avere nuovamente un cardinale. Repole prenderà parte al collegio insieme a 21 nuovi cardinali. Ma, per quanto riguarda il contesto torinese, si tratta di una nomina che in città mancava da oltre vent’anni, da quando cioè l’arcivescovo Severino Poletto venne fatto cardinale da Giovanni Paolo ll. Era il 2001. Da allora, e per tutto l’episcopato di monsignor Cesare Nosiglia, non si è avuta più una nomina diocesana. E questo anche perchè con Papa Francesco le scelte sui nuovi cardinali hanno superato quella che era quasi una automatica e meccanica ascesa dei vescovi delle grandi diocesi italiane. E quindi non solo Torino ma anche Genova, Milano, Napoli e Venezia non accedevano al collegio cardinalizio. Con l’eccezione, però, di Mons. Matteo Zuppi, attuale arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ciò non è più accaduto. E questo perchè la visione di Papa Francesco ha modificato in profondità una prassi che nel passato era quasi data per
scontata. Aprendo, di fatto, ad una visione universale e globale nella ricomposizione del collegio cardinalizio, sempre meno eurocentrico e molto più attento alle chiese nuove e lontane dal potere romano, ma forse più vive e vitali rispetto ad un cristianesimo che attraversa un momento di autentica crisi. Tra una secolarizzazione crescente e ormai consolidata e una conseguente, e del tutto naturale, crisi della partecipazione attiva alle dinamiche interne della Chiesa, per non parlare delle caduta verticale delle stesse vocazioni al sacerdozio.
E la scelta di monsignor Repole è, appunto, dentro questa visione. Come quella di altri cardinali italiani ed europei non ci sarà, quindi, un ritorno al passato, agli automatismi delle nomine. Sebbene Francesco abbia nel cuore il Piemonte, la sua terra d’origine. Le sue radici, del resto, sono note, come la storia della sua famiglia, passata da Asti alla Chiesa di Santa Teresa a Torino, dove furono battezzati i genitori. E la vicinanza spirituale e teologica di Papa Francesco con il vescovo torinese è anche un segno di “riconoscimento” per la Chiesa locale, ma in una dimensione diversa dal passato perchè nuova ed inedita. Insomma, per Mons. Repole questa nomina assume un significato importante. Si affacciano, cioè, di fronte al suo nuovo incarico impegni plurimi per la realizzazione di una azione pastorale non priva di grandi difficoltà e straordinarie sfide. E la porpora, al riguardo, sarà sicuramente un buon viatico per le comunità del vescovo teologo, sempre più in costante e organico rapporto con il Papa e il collegio dei cardinali. Repole, del resto, è stato Presidente dell’Associazione Teologica italiana dal 2011 al 2019 ed è stato consacrato Vescovo di Torino nel maggio del 2022.
Comunque sia, e al di là dell’azione concreta e pastorale e del nuovo impegno cardinalizio e dello stesso futuro personale di monsignor Repole, è indubbio che la nomina a cardinale del vescovo di Torino suscita grande attesa e alimenta antichi e fecondi ricordi tra i cattolici torinesi e piemontesi. E non solo cattolici, come ovvio. A partire, è inutile negarlo, dal magistero indimenticabile di Padre
Michele Pellegrino negli anni ‘60 e ‘70, di Anastasio Ballestrero, di Giovanni Saldarini e di Severino Poletto. Un passato che non può non condizionare il futuro magistero di Mons. Roberto Repole.