Il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla guerra in Ucraina va ben oltre il richiamo, pur drammatico, a un conflitto che continua a insanguinare il continente europeo. Quando il capo dello Stato mette in guardia dal rischio di un “nuovo ordine mondiale basato sulla sopraffazione”, indica una linea di frattura profonda che attraversa il sistema internazionale e chiama direttamente in causa l’Europa, la sua identità politica e la sua capacità di agire come soggetto responsabile sulla scena globale.
Non è solo una guerra regionale
L’aggressione russa all’Ucraina non rappresenta soltanto la violazione della sovranità di uno Stato indipendente. Essa mette in discussione un principio cardine dell’ordine internazionale nato dopo il 1945: il rifiuto della forza come strumento legittimo di regolazione dei rapporti tra Stati. Accettare, anche tacitamente, che la legge del più forte torni a imporsi significherebbe riaprire una stagione che l’Europa conosce bene, segnata da guerre di conquista, revisionismi territoriali e instabilità permanente.
Il richiamo al diritto come scelta politica
Nel linguaggio misurato di Mattarella non c’è retorica bellicista né automatismo geopolitico. Difendere l’Ucraina non viene presentato come un atto di schieramento ideologico, ma come una conseguenza necessaria della fedeltà al diritto internazionale, alla Carta delle Nazioni Unite, all’idea che la convivenza tra Stati debba poggiare su regole condivise e non su rapporti di forza. È una posizione che richiama la responsabilità politica delle democrazie, chiamate a scegliere se stare dalla parte delle regole o dell’arbitrio.
L’Europa davanti al suo bivio
È qui che il discorso del capo dello Stato assume una portata pienamente europea. L’Unione non può limitarsi a essere un contesto economico o un semplice spazio di coordinamento tra governi nazionali. La guerra in Ucraina ha mostrato che senza una vera Europa politica, capace di assumere decisioni comuni e di sostenerle nel tempo, il rischio è quello di un progressivo arretramento, mascherato da realismo o da stanchezza.
Le tentazioni di una “pace qualsiasi”, purché immediata, rischiano di tradursi in una resa strategica: un ordine fondato sulla sopraffazione non produce stabilità, ma moltiplica i conflitti, legittima nuovi imperialismi e rende strutturale l’insicurezza. Per l’Europa significherebbe rinunciare al ruolo storico che l’ha resa, pur tra mille contraddizioni, una riserva di civiltà fondata sul diritto e sul multilateralismo.
Pace e legalità non sono separabili
Nel pensiero di Mattarella, pace e diritto internazionale sono inseparabili. Non esiste una pace duratura che nasca dalla negazione della giustizia, né una sicurezza costruita sull’abbandono dei principi. È una lezione che affonda le radici nella tradizione costituzionale italiana e nell’europeismo dei padri fondatori, per i quali la pace non era assenza di conflitto, ma costruzione paziente di regole comuni.
Una voce che interpella l’Europa
In un tempo segnato dal ritorno delle guerre e dalla crisi del multilateralismo, la voce del presidente della Repubblica riafferma una verità scomoda ma essenziale: la neutralità di fronte alla sopraffazione non è prudenza, ma complicità. Difendere l’Ucraina significa difendere l’idea stessa di Europa come soggetto politico, capace di scegliere, di assumersi responsabilità e di non arretrare di fronte alla fatica della storia.
Se l’Europa rinunciasse a questo compito, il “nuovo ordine mondiale” evocato da Mattarella non sarebbe una minaccia astratta, ma una realtà già in atto. E sarebbe un mondo più ingiusto, più instabile, più pericoloso per tutti.

