Ora è il tempo della trattativa. Lo dovrebbe sapere Zelens’kyj ed è auspicabile che lo abbia compreso anche Putin. Potrà essere, come pare, la Turchia (che ha motivi fondatissimi per promuovere un accordo di pace) a guidarla. Ma fossero pure Israele o il Vaticano è urgente che essa si instradi già in questi giorni sul binario giusto.
Il Presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha dimostrato in tutto questo mese di guerra di possedere naturali doti comunicative e una capacità indiscutibile nell’uso dei social media. Ovvero ha saputo con facilità tradurre su un piano operativo diverso, tragicamente diverso, le proprie competenze e abilità professionali. Probabilmente facilitato da un tratto caratteriale socievole, è da immaginare, avendo scelto di impegnarsi – con successo – nella carriera dell’intrattenitore e dell’attore umoristico.
Su questo piano egli ha stravinto sin dal primo giorno il confronto con il suo truce avversario, rinchiuso da due anni nel bunker del Cremlino, lontano fisicamente anche dai suoi più stretti collaboratori, perso nella sua cupa visione di un mondo ostile dal quale allontanare la Russia sempre di più. Zelens’kyj, però, soprattutto ha vinto anche su un altro livello, ben più importante: quello morale. E non solo perché egli è l’aggredito, mentre l’altro è l’aggressore. Egli non è fuggito, non ha portato il suo governo in esilio come pure gli era stato offerto da americani e polacchi; non ha fatto ciò che lo zar di Mosca immaginava, confidando di poter imporre a Kiev un governo fantoccio nel giro di pochi giorni. Al contrario, è rimasto nella capitale e dapprima si è mostrato al mondo tramite i social media e successivamente ha cominciato a comunicare in pubblico con chiunque desiderasse ascoltarlo, privilegiando le assemblee parlamentari in quanto espressione di quei princìpi democratici che l’Ucraina ha voluto abbracciare dopo la rivolta di piazza Maidan nel 2014.
Rimanendo nel suo Paese e da lì parlando al mondo Zelens’kyj non solo ha acquisito sul campo presso i suoi connazionali il titolo e il merito di comandante supremo della nazione ucraina; ha pure dimostrato a Putin quanto forte possa essere una democrazia, perché il popolo ha accolto con determinazione e convinzione la richiesta del suo Presidente di non subire l’offensiva russa e al contrario di resistere all’aggressore. E l’esercito ha operato al suo meglio per difendere il suo popolo, e la sua terra. Di fronte agli occhi del mondo, e un domani al tribunale della Storia, la nazione dalla bandiera giallo-blu ha vinto ed il suo Presidente pure.
Ora però bisogna con urgenza passare ad una nuova fase, quella della trattativa vera, che possa condurre ad un onorevole compromesso. Altrimenti gli orrori della guerra non solo proseguiranno, ma aumenteranno in gravità e intensità. Quanto più, infatti, l’aggressore troverà difficoltà nella sua avanzata – quello che è accaduto in queste settimane – tanto più sarà tentato a intensificare, indurire la portata militare distruttiva del suo attacco. Aumentando così non solo le devastazioni materiali e le sofferenze fisiche e psicologiche di una popolazione già stremata ma anche il raggio d’azione dell’intervento bellico, con l’utilizzo di sempre nuovi e più micidiali strumenti, come si è già visto con i missili ipersonici. E, di più, con il pericolo tremendo dell’errore tragico, quello che conduce un qualsiasi sistema d’arma dove non dovrebbe mai andare: nel caso, in territorio polacco. Con il rischio conseguente che conosciamo e che non vogliamo neppure immaginare, ma che sappiamo perfettamente esistere.
È dunque ora il tempo della trattativa. Credo che lo sappia Zelens’kyj ed è auspicabile che lo abbia compreso anche Putin. Potrà essere, come pare, la Turchia (che ha motivi fondatissimi per promuovere un accordo di pace) a guidarla. Ma fossero pure Israele o, perché no, il Vaticano è urgente che essa si instradi già in questi giorni sul binario giusto.
La trattativa che conduce al compromesso, si sa, deve consentire ad entrambe le parti di poter celebrare un successo. La verità, ovviamente, è diversa, a cominciare dal fatto che migliaia di esseri umani, militari e civili, uccisi e che centinaia di migliaia di persone senza più una casa, un lavoro, un rifugio rappresentano una sconfitta dell’umanità. Nonché il disonore dell’aggressore. Realisticamente e concretamente, però, il compromesso deve – come detto – soddisfare almeno in parte entrambi i contendenti. Ed è su questo punto che, duole dirlo, Zelens’kyj e gli ucraini dovranno cedere su diversi punti importanti a meno di voler proseguire la guerra per anni e anni, una condizione che ben pochi vorrebbero. In compenso, potranno affermare di aver salvato l’onore e l’esistenza dell’Ucraina. Avviandola sulla strada del futuro.
Alcuni punti sono meno complicati, forse già acquisiti. La non entrata nella NATO, certamente. Ma anche il riconoscimento delle due repubbliche separatiste di Donec’k e Luhans’k nel Donbass, se non addirittura dell’intera regione. Così pure la definitiva perdita della Crimea. Tutto ciò consentirà a Putin di dichiarare di aver conseguito i risultati che si era prefisso con l’avvio della sua “operazione militare speciale”. Tutto ciò ovviamente agli occhi delle persone perbene apparirà come somma ingiustizia, il prevalere della forza bruta, della protervia, dell’arroganza. Della violenza. Sull’altro piatto della bilancia, oltre alla fine delle ostilità armate, ci sarà comunque un carniere sanzionatorio assai pesante che nel tempo potrebbe favorire un mutamento anche rilevante nel regime di Mosca.
La situazione però è assai complicata e occorre pertanto considerare due altri punti. Il primo è quello relativo all’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, caldeggiata l’altro ieri dal nostro Presidente del Consiglio nel suo intervento a Camere riunite. Un percorso che può essere intrapreso qualunque cosa dovesse dire Mosca, purché nel rispetto dell’iter previsto, semmai accelerato nei tempi ma non nel rigore: nell’interesse della UE e della stessa Ucraina tutto l’acquis communautaire deve essere realmente garantito in quanto elemento decisivo per la partecipazione all’Unione, con i suoi princìpi ed i suoi obiettivi. I problemi insorti negli ultimi anni con Polonia e Ungheria sono lì a confermarlo, in effetti.
Il secondo punto invece è estremamente difficile da risolvere e potrebbe pregiudicare il raggiungimento del compromesso: l’accesso al mare dell’Ucraina, che Putin vorrebbe annullare. Condizione certo inaccettabile per Kiev. Forse bisognerà lavorare sul tratto orientale del Mar Nero, dove c’è la città-martire di Mariupol. Qui il tema è estremamente complicato. Non è dato sapere se se ne sia già parlato nei colloqui ospitati dal ministro degli esteri della Turchia, ma è probabile. E a oggi non si è trovata la soluzione, ovvero il compromesso.
Tutto il resto (dalla questione linguistica, alla ricostruzione, ad altro ancora) potrà essere affrontato e in un qualche modo risolto nell’ambito di un compromesso ricercato e voluto. Già, voluto. Ma l’alternativa è la guerra. Di questo occorre essere consapevoli. A costo d’essere brutali. Con una postilla. Se la Russia non fosse una potenza nucleare la guerra si sarebbe già estesa all’intero continente europeo. Non ho dubbi su questo. E’ la deterrenza nucleare che lo ha impedito. Ed è per questa drammatica ragione che l’accordo-compromesso andrà raggiunto. Quanto prima. Prima che vi sia un tragico errore, sempre possibile quando c’è una guerra in corso.