Un romanzo sulla fine della democrazia nel terzo millennio

Paul Lynch ne “Il canto del profeta” racconta l’arrivo al potere in Irlanda dell’estrema destra, con la conseguente vittoria del totalitarismo. Di seguito un ampio stralcio della recensione pubblicata su VP Plus quindicinale online.

[…] Un libro che può essere letto come un avvertimento o come la parafrasi di eventi che stanno realmente accadendo in qualche parte del mondo. La protagonista è Eilish Stack, una rispettata microbiologa, madre e moglie che tenta di salvare il marito e i suoi quattro figli da un incubo apparentemente senza via d’uscita. La vita della sua famiglia inizia a cambiare la notte in cui due uomini in borghese le bussano alla porta di casa per chiederle notizie di suo marito, un rispettato leader del sindacato degli insegnanti. Sono cortesi e premurosi. “Non c’è niente di cui deve preoccuparsi”, la rassicurano. Ancora lei non lo sa ma sono agenti di una nuova polizia segreta alla ricerca di dissidenti da far sparire. Una nuova legge sui poteri di emergenza approvata dal governo è il preludio della sospensione di tutti i diritti costituzionali. Nel giro di pochi giorni suo marito svanisce, come inghiottito nel nulla, insieme a centinaia di altre persone comuni circondate dal silenzio implacabile dello Stato. Eilish nega a lungo la gravità di quanto sta accadendo e quando infine se ne rende conto è ormai troppo tardi. Da quel momento in poi, mentre l’ordinaria quotidianità cui era abituata si sbriciola come sabbia sotto i suoi piedi, inizia a lottare nel tentativo di tenere unita la famiglia. Non soltanto i suoi figli ma anche l’anziano padre in preda alla demenza e incapace di dare un senso a un mondo comunque insensato.

Intorno alle sue paure e alla sua disperazione Lynch descrive il collasso della democrazia riportando alla memoria echi di grandi classici della narrativa distopica come 1984 di George Orwell e Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, con particolari che ricordano esperienze dittatoriali recenti come quelle del Cile e dell’Argentina degli anni ‘70. Ma lo fa nel suo caratteristico stile lirico mai esasperato, tratteggiando un incubo talmente plausibile da togliere il fiato e costringe il lettore a immedesimarsi fino alla fine nella sorte dei protagonisti.

Nei suoi romanzi precedenti (a cominciare dal fortunato debutto, Cielo rosso al mattino) Lynch aveva già dimostrato di possedere un talento particolare nel cimentarsi con ambientazioni oscure e con tematiche come la violenza e la vendetta, la redenzione e il perdono. A prevalere, in Il canto del profeta (la cui edizione italiana uscirà l’8 marzo con le edizioni 66thAnd2nd), è però un’atmosfera claustrofobica amplificata da una prosa a tratti poetica e dal consueto utilizzo mirato di sinestesie e metafore che caratterizzava anche le sue opere precedenti. Stavolta la narrazione scorre del tutto priva di paragrafi, con lunghe sezioni di prosa continua che trasmettono un senso di urgenza assoluta. I dialoghi sono talvolta interrotti da descrizioni accurate e da slanci introspettivi e commoventi che scavano a fondo nell’animo dei personaggi. Quando le persone rimangono intrappolate negli ingranaggi del dispotismo – sembra volerci dire Lynch – il libero arbitrio può rivelarsi una finzione politica. Con questo romanzo cerca anche di scuoterci dalla confortante illusione che tutto questo non possa accadere davvero.

 

Per leggere il testo completo

https://rivista.vitaepensiero.it//news-vp-plus-il-canto-del-profeta-e-la-scomparsa-della-democrazia-6417.html