Qualcuno ricorda la “Conferenza sul futuro dell’Europa”? Quali proposte ha sortito? Lanciata in pompa magna e poi azzoppata organizzativamente dalla pandemia è arrivata infine al traguardo avviluppata nel complicato iter procedurale che sin dall’inizio aveva fatto inarcare il sopracciglio agli europeisti più esperti e soprattutto meno propensi a farsi irretire dai nomi, dai proclami, dalla patina comunicativa priva di reale sostanza politica.
Insomma l’ennesima occasione sprecata da un’Europa che del resto dichiara al mondo la propria debolezza nell’affrontare le nuove questioni che l’evoluzione geopolitica le paventa innanzi (ultima, ora, il “Sud Globale”) quando non riesce – e non ci riesce da sempre – ad elevare il proprio bilancio comune da quel misero 1% del PIL dei suoi stati membri, rinunciando ad ogni velleità, ad esempio in termini di difesa comune ma anche, per dire, di cooperazione allo sviluppo, un settore di intervento nel quale la UE ha dedicato indubbiamente risorse cospicue ma insufficienti ad affrancarla da quel retaggio coloniale che l’Africa avverte nei suoi confronti ancora oggi.
In questo scenario puntuali arrivano le elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo e come al solito esse si annunciano come un grande sondaggio a uso interno dei singoli paesi membri. Basterebbe leggere le cronache della politica italiana per rendersene conto. Ma non è che altrove vada diversamente. Anzi.
La semestrale presidenza di turno, sino a dicembre in carico alla Spagna, è sostanzialmente bloccata nell’azione a causa della concomitante situazione di stallo post-elettorale nel paese iberico. Il presidente Sanchez è evidentemente impegnato full time nelle trattative per la costituzione del nuovo governo dopo esserlo stato per una fulminea campagna elettorale giusto all’avvio dell’impegno europeo. Ci si è messa così anche la sorte o meglio la coincidenza, ma il fatto è che il rischio reale se non addirittura la certezza è che altri sei mesi trascorreranno senza alcuna decisione rilevante ai fini del futuro europeo.
E del resto come potrebbe essere altrimenti? Prendiamo la Francia, nazione principale dell’Unione. Sottoposta da anni a un fuoco di fila di proteste interne assai violente più o meno manipolate, più o meno corporative viene ora letteralmente cacciata dai suoi residuati africani post-coloniali (Le Figaro scrive che è ormai tempo di “liquidare ostentatamente la franciafrica”) e al tempo stesso non è in grado di comprendere che le partite dapprima giocate in autonomia, come appunto quella africana, ma ancor di più quella nucleare e quella del seggio permanente all’ONU dovrebbero essere ora disputate insieme ai partner continentali, quindi come UE e non come singolo stato nazionale. Oppure la Germania, l’altra nazione leader del continente. Dopo gli anni dominati dalla sua Cancelliera Angela Merkel sembra ora essere in discesa strutturale, politica e soprattutto economica, con un riflesso elettorale che i sondaggi registrano con un incremento importante, sino addirittura al 20%, del partito di estrema destra AfD e con la bocciatura della mal assemblata coalizione di governo fra socialisti, liberali e verdi.
Non sondaggi ma voti verranno invece contati il prossimo ottobre in Polonia, grande paese assai ambizioso e pure assai critico con l’Unione nel quale l’asse nazionalista al potere pare avere dalla propria parte tutte le previsioni del pronostico. Subito dopo si voterà in Olanda, paese capofila dei cosiddetti “frugali”, dove il rischio, reale, è di uno spostamento dal centro ancorché troppo rigoroso di Mark Rutte (che lascia carica e impegno politico) a una destra incentrata sul partito dei contadini ostile al Green Deal di Bruxelles, vissuto come un cedimento alla moda ambientalista delle élites cittadine che minaccia di impoverire i lavoratori dei campi e non come un impegno serio contro un cambiamento climatico che viene sostanzialmente negato.
Una situazione insomma che presenta diverse incognite e che non promette nulla di buono per l’Unione Europea. Un guaio. Visto che l’economia in declino e la guerra ai confini orientali richiederebbero un protagonismo europeo che invece rischia di volgersi in subalternità non solo all’alleato americano ma anche alle evoluzioni geopolitiche che potrebbero delinearsi nel prossimo futuro, delle quali l’annunciato (ma tutto da verificare nel concreto) allargamento dello standard Brics potrebbe essere una prima concretizzazione.