Una naturale convergenza segna la prospettiva dei democratici popolari

No a questo disegno costituzionale che vuole riscrivere la nostra Carta fondamentale. Si può costruire uno spazio politico capace di riequilibrare il sistema sempre più asfissiato da un bipolarismo malsano.

Provare convergenze in politica è sempre difficile. Lo si fa più agevolmente su talune tematiche forti, divisive per il paese. Così è stato e continua ad essere in questa legislatura per il salario minimo, che ha unito le opposizioni, divise nelle tante altre questioni cruciali del paese, mentre il governo, mettendo in campo tattiche dilatorie e ingerenze poco convincenti nella dinamica  dell’attività legislativa, va in tutt’altra direzione.

Così è in confronto alla recente proposta di riforma costituzionale tesa ad introdurre una aberrante forma di premierato ad iniziativa del governo. Il termine convergenza in politica ci riporta agli albori della nostra storia politica del secondo dopoguerra. Soprattutto alla celebre frase “convergenze parallele” attribuita ad Aldo Moro nei primi anni ‘60 per anticipare gli snodi cruciali e i cambiamenti, che si preparavano di volta in volta all’orizzonte.

In realtà l’espressione pronunciata in un memorabile discorso del luglio 1960 dal grande statista democristiano, era lessicalmente diversa, ossia “convergenze democratiche”. La versione che è passata alla storia ed è rimasta nella memoria collettiva, ossia l’ossimoro “convergenze parallele”, sembra fare riferimento alla giornalistica interpretazione data da Eugenio Scalfari in un suo editoriale su L’Espresso di quel periodo.

Si alludeva ovviamente ad un percorso comune che la Dc vedeva come evoluzione inevitabile con le forze socialiste di Nenni (Psi), che pur in un quadro di significative differenze di visione e di prospettiva nella costruzione del futuro del paese, trovava un filo comune nella condivisione atlantista.

Questa breve premessa serve ad introdurre, in parallelo, ma in uno scenario opposto con un governo che tende a deprivare diritti e conquiste fondamentali, quanto di più avvertito appare oggi nel comune sentimento di popolari e democristiani, ossia l’idea di un’aggregazione politica sulla base di un programma che abbia quali suoi assi il contrasto alla deriva autocratica di questo governo, sempre più incapace ad affrontare e saper dare risposte ai temi cruciali di questo paese, dalla sanità, al mondo del lavoro, sempre più precarizzato e in affanno, ad un serio ed autorevole rapporto con le Istituzioni europee, non solo in materia di immigrazione, ad un fisco equo, ad una giustizia giusta, per citare le problematiche più evidenti.

Così non è certamente sbagliato partire dai tratti comuni di una opposizione netta al progetto di legge costituzionale che intende traghettare una bizzarra e disinvolta idea di premierato nel nostro sistema istituzionale.

Concordo perciò con l’auspicio, espresso ieri da Ettore Bonalberti su questo giornale, di dare subito corpo ai comitati per il No unendo tutte quelle forze che traggono linfa da quelle matrici culturali che furono artefici del sapiente lavoro di elaborazione e scrittura della nostra Carta costituzionale.

Peraltro l’occasione di misurarsi su un testo comune che metta in palese evidenza tutte le abnormità e le aberrazioni di un progetto, che non nasconde sin dalla prima lettura di far perdere prestigio e autorevolezza al Capo dello Stato, può favorire la convergenza su un comune programma di massima, premessa indispensabile per una aggregazione in unica lista delle diverse estrazioni in cui attualmente si collocano quanti provengono dalla unica matrice democristiana.

Di certo non sfugge quanto sia insidioso ed eversivo il proposito delle destre di Meloni e Salvini, sempre più insofferenti ai contrappesi che la nostra Costituzione interpone nell’esercizio delle attribuzioni istituzionali. Già da tempo non appare tanto celata la voglia irrefrenabile di smantellare la parte centrale della Carta dedicata agli assetti e alle funzioni delle varie istituzioni.

Questa sola ragione è già sufficiente a non farci perdere un solo minuto per organizzare una opposizione, assieme a tanti emeriti esponenti della società civile, a questo disegno costituzionale che vuole riscrivere la nostra Carta fondamentale in direzione di un diverso assetto e peso decisionale delle funzioni istituzionali, con consistente alterazione del virtuoso bilanciamento delineato dai nostri costituenti con cui riuscirono a realizzare una ineguagliabile sintesi nell’equilibrio dei poteri imperniato sul ruolo centrale delle Camere.

Ritengo perciò degno di rilievo quanto Bonalberti, sulla linea di un iniziale intesa comune per un comitato del No, ci metta in guardia: “…La sola indicazione di costituire una lista comune del centro alle prossime Europee, per quanto importante, rischia di apparire un mero espediente di sopravvivenza politica, se non sarà accompagnata – e siamo ancora in tempo a farlo – da una capacità progettuale adeguata alle sfide del nostro tempo. E anche dalla definizione di un percorso che faccia trasparire il coraggio di affidarsi alla forma partito nell’organizzare il centro, e di affidarsi al “rischio” della democrazia interna al partito”.

Non c’è che dire!

Ma se si va in profondità, prefigurando un tale processo di ricomposizione teso ad assumere le sembianze di un nuovo partito di centro, vien subito da chiedersi quali caratteristiche e quale identità dovrà avere? E quali saranno i limiti da non superare per mantenere vive le radici del popolarismo? Un problema serio, perché ne va della stessa riuscita dell’operazione, apparsa già da tempo molto difficile.

Assai predittivo di quanto sia arduo questo sentiero risulta essere l’esperimento in corso, da quattro anni, dell’attuale federazione dei democratici cristiani e dei popolari, organismo propedeutico ad un’aggregazione più strutturata che non è riuscita ad oggi a produrre un qualche risultato, condizionata pesantemente da pregiudiziali e riserve mentali su intoccabili rendite di posizione che poi, tradotte in fare politico, sono servite per taluni esclusivamente come presidio di sopravvivenze personali, sicché alla prova dei fatti hanno messo in stallo il tentativo di ricomposizione della diaspora democristiana.

Tuttavia sono sicuro che un quadro politico così fosco, giunto persino al tentativo di vanificare diritti sindacali costituzionalmente garantiti, farà da leva a un diverso approccio per un così importante obiettivo.

In questo quadro non minore importanza dovrà assumere l’elaborazione di un progetto per l’Europa capace di agevolare una transizione verso una visione dell’Unione che recuperi gli ideali e i propositi dei padri fondatori, De Gasperi, Adenauer e Schuman, in direzione di un percorso che abbia come nuova frontiera la formazione di una comunità politica europea, come da essi vagheggiata.

Quella comunità continentale, che era stata teatro di azioni abominevoli verso l’umanità, doveva riscattare la propria dignità facendosi protagonista di fratellanza, coesione e convivenza pacifica.

Con non minore ardore guardavano con speranza ad una Unione di popoli europei accomunati da radici cristiane le cui profondità e vitalità apparivano come la migliore linfa senza la quale ogni tentativo di ridefinire una nuova cornice di Europa sarebbe finita per cadere nel vuoto.

Oggi a nessun attento osservatore verrebbe in mente di identificare questa Europa con l’idea che di essa avevano in mente i tre padri fondatori.

Di certo non era nei loro obiettivi costruire un organismo comunitario che anteponesse, all’idea di un Umanesimo integrale, freddi, e talvolta cinici (emblematico il caso della Grecia), obiettivi turbo-finanziari e monetari, anche a costo di gravosi depauperamenti di interi ceti sociali, contando per converso poco il ricorso a forme di solidarismo, soprattutto perequativo.

Insomma un‘Europa sempre meno promotrice di reale miglioramento, di benessere delle comunità, di riduzione dei divari tra territori e del giusto riconoscimento delle peculiari vulnerabilità a cominciare dalla questione migranti che impatta soprattutto sulle coste italiane.

L’iniziativa che non troverà una Dc sorda, di certo non avrà facile supporto per il fatto che le tante frazioni politiche in cui è suddivisa l’area democristiana, non hanno identica affiliazione nel contesto delle grandi matrici culturali che costituiscono i contenitori comuni delle forze politiche espresse da ciascun paese membro dell’Ue.

Sono però convinto che se sapremo trovare lo stesso coraggio che ebbe Aldo Moro nell’affacciare scelte difficili ma necessarie per assicurare al paese un futuro più aperto alla pienezza dei diritti, come delineato dalla Costituzione, potremo porre le premesse per una solida difesa nel paese delle parti cruciali della nostra Carta fondamentale e costruire uno spazio politico capace di riequilibrare il sistema sempre più asfissiato da un bipolarismo malsano.