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martedì, Febbraio 25, 2025
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Una società più umana promuove la vita, non la morte.

Riproponiamo per gentile concessione dell’autore l’articolo pubblicato domenica scorsa su “Roma Sette”, supplemento settimanale di “Avvenire”, con il seguente titolo: “Suicidio assistito, la vera risposta al dolore è la cura”.

Nella nota della presidenza Cei a seguito dell’approvazione della legge regionale toscana sul suicidio medicalmente assistito, i vescovi italiani chiedono a tutti di superare logiche di schieramento e di cogliere l’occasione per approfondire la riflessione su questo tema che ha profonde implicazioni etiche, antropologiche e spirituali. È necessario dunque farsi alcune domande per cogliere le ragioni profonde e l’humus sociale che determinano la richiesta di eutanasia e le sue conseguenze.

Una società è davvero più umana quando accoglie la domanda di morte come una soluzione? La richiesta di morire esige un’interpretazione perché spesso contiene molteplici significati e bisogni inespressi.

Introdurre il tempo del morire nel campo della relazione abitandolo con l’ascolto, la presenza e la cura permette di interpretare la volontà del malato restituendogli la dignità di persona. I dati scientifici dimostrano ampiamente che la richiesta di eutanasia crolla laddove esistono cure palliative adeguate con competenza nel comprendere i bisogni del morente e il grido di aiuto nascosto dietro il desiderio di morire.

Come Papa Francesco ha più volte ribadito, l’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti, perché sono l’esito della cultura dello scarto. In una società post-welfaristica, che fatica a farsi carico dell’assistenza sanitaria e delle pensioni degli anziani, aprire la porta al suicidio rischia di diventare una forma di grave ingiustizia sociale. Se per larghe fasce di popolazione l’età anziana presumibilmente sarà vissuta nella difficoltà economica e nell’impossibilità di fatto di accedere alle cure socio-sanitarie indispensabili, la richiesta di eutanasia è autodeterminazione o è una scelta che la società subdolamente ti chiede?

Nel tempo il rischio è una deriva morale che trasformi la richiesta di un diritto a morire in un dovere di morire. Non si tratta quindi di negare la libertà individuale, ma di interrogarsi sul significato di questa libertà: è davvero autentica una scelta di morte quando nasce da una condizione di isolamento e di disperazione? Non dovremmo piuttosto chiederci quali strumenti di sostegno offriamo a chi si trova in queste situazioni?

Il compito della comunità cristiana e della società civile è di testimoniare con coraggio che esiste un’alternativa. La vera risposta alla sofferenza non è la morte, ma la cura. Il supporto olistico delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare nor ha ancora trovato il giusto e diffusc sviluppo in Italia ed è l’obbligo etico più urgente, piuttosto che la legalizzazione dell’eutanasia.

L’Associazione internazionale per

itenesseno Cato olive predichiarato

considerazione la legalizzazione dell’eutanasia fino a quando non garantirà un accesso universale ai servizi di cure palliative e ai farmaci appropriati. Il suicidio assistito inoltre mina l’alleanza terapeutica della relazione paziente-medico, perché è dovere del sanitario sopprimere il dolore e la sofferenza, non la persona con il dolore e la sofferenza.

Il giuramento di Ippocrate recita: “Non darò un farmaco mortale a chiunque lo chieda, né darò un suggerimento in tal senso”. Violare questo giuramento significa trasformare la medicina ippocratica in medicina ideologica che decide a seconda del potere dominante chi è degno di vivere. Il suicidio assistito rischia di indebolire il valore della vita, specialmente quella più fragile e indifesa.

In Belgio eutanasia e suicidio assistito sono legali da anni e vi accedono i più vulnerabili, tra cui i senza fissa dimora, gli anziani poveri, soli e ricoverati in Rsa, le persone meno istruite e i bambini. Il progresso di una società e il suo desiderio di futuro e di pace si misura dalla sua capacità di prendersi cura dei suoi membri più deboli. In questo nostro mondo vogliamo essere pellegrini di speranza o dispensatori di morte?

Mons. Andrea Manto

Vicario Episcopale per la Pastorale della Salute e Coordinatore dell’Ambito della cura delle età e della vita.