Fatto salvo il valore dell’economia circolare, del riciclo e della riduzione dello spreco, non si può indulgere su una “decrescita felice” valida solo per i ricchi. Qui si gioca la reputazione delle forze politiche agli occhi dei ceti lavoratori e popolari. Il centro non può non tenerne conto.
Giuseppe Davicino
L’intervista al prof. Flavio Felice, riproposta ieri da “Il Domani d’Italia”, costituisce un importante contributo che ci aiuta a pensare politicamente e a meglio definire una strategia tra quanti ritengono insoddisfacenti o addirittura preoccupanti i luoghi comuni che, solo in Occidente peraltro, sono elevati ormai ad assiomi intoccabili nei media e nel dibattito politico. Uno di questi è l’idea malsana e socialmente devastante che occorra procedere a una riduzione ulteriore della domanda interna e del consumo di energia, anziché puntare sullo sviluppo integrale della persona e sulla ricerca e l’introduzione di nuove fonti di energia pulite, meno inquinanti e nel contempo capaci di soddisfare una domanda di energia che per una transizione energetica socialmente equa, non potrà che crescere.
Sembra una discussione solo teorica (un livello peraltro fondamentale senza il quale l’azione politica risulterebbe menomata), in realtà definire una posizione chiara di alternativa alla retorica classista della decrescita cosiddetta “felice”, è uno di quei temi da cui passano le scelte elettorali della classe media. Per l’elettorato che rischia di subire la distopia generata dall’ubriacatura dell’ideologia della decrescita costituisce una delle principali questioni di cui tener conto per la propria scelta di voto.
Così pure credo che vadano meditate le parole del prof. Felice a proposito della pianificazione alimentata dal furore ideologico, dietro al quale si celano precisi ed enormi interessi di pochi. Una descrizione che a me pare purtroppo calzante anche per certe politiche definite a livello internazionale, che vanno oltre l’inimmaginabile, relative alla transizione ecologica, che a volte danno l’impressione addirittura di riuscire a danneggiare l’esistente, creando nuove forti disuguaglianze, più che a costruire un ragionevole percorso di progresso capace di tenere insieme coesione sociale e rispetto, non fanatismo, per l’ambiente.
Se si vuole dare forza a una proposta di centro, occorre, a mio avviso, anche stare attenti a costruirsi una buona reputazione di fronte agli elettori a proposito della crescita economica.
Si tratta di una fascia di elettorato che teme il fenomeno di una pianificazione “sovietica”, che il prof. Felice ha così bene descritto e di cui purtroppo si può trovare più di un esempio. «Solo una visione perfettista – ha affermato Flavio Felice – e, di conseguenza, totalitaria può immaginare di sostituire il mercato e la democrazia con un apparato centrale pianificatore, mosso dalla presunzione fatale di imporre, magari anche con lacrime e sangue, a persone chiamate ad essere libere e responsabili, una sedicente “infallibile” direzione di marcia, spacciandola per il “senso della storia”». Un rischio tutt’altro che remoto, che viene avvertito in concreto sulla loro pelle, da ampi strati sociali e sul quale chi aspira a dare a quei ceti la rappresentanza che meritano, deve avere, e dimostrare di avere, le idee chiare.