Appunti sulla pace e sulle guerra, fuori dall’ipocrisia.

Un certo pacifismo semplificatorio e autarchico non si sa per che pace sia impegnato. Il tormentone dei carri armati pro Ucraina ne è, appunto, un bell’esempio. In questo senso il pacifismo ha i suoi totem immarcescibili: le guerre non ci sarebbero se non ci fossero le armi.

Antonio Payar

Hai voglia ad operazioni chirurgiche ed interventi di precisione: nessuna devastazione missilistica dal Febbraio 2022 in qua ha suscitatato più almanaccamenti della colletta d’una quarantina di carri armati da inviare a combattere in Ucraina. Sembra che allora la guerra ci sia davvero, e che cominci ora. Dopo manca solo la fanteria. Mentre il razzo è il simbolo della guerra dei bottoni, a distanza, il carro armato è l’emblema del corpo a corpo, delle corazze, degli elmi, dei soldati e non dei tecnici. Anche perché mentre a lanciar missili nell’aere può giocare anche Mr. Razzo da casa sua (Kim Jong-un), carri armati come i Leopard 2 devono farsi sotto perché al massimo possono raggiungere un bersaglio – ammesso di centrarlo – entro quattro chilometri. Insomma per combattere devono muoversi, essere guidati, manovrati, avvicinarsi. Peraltro in Europa il Paese che possiede più carri armati è proprio l’Ucraina, seguita dalla Germania e dalla Grecia. In tutta Europa sono disponibili poco più di 3.300 carri armati, e non è che ci siano industrie al lavoro per sfornarne in continuazione tutti i giorni.

Il carro armato, l’immaginario di ogni conflitto, dalla difesa della democrazia ai golpe.

Il fatto è che il carro armato richiama tutto un immaginario bellico molto più potente di qualsiasi altra arma, un drone in confronto fa parte degli aereoplani di carta dei ragazzini. “Il Domani d’Italia” del 26 gennaio riporta un brano di una intervista dell’AGI – di cui è direttore Mario Sechi (sull’Ucraina sempre critico circa le posizioni occidentali) – ad Andrea Gaiani, direttore del magazine online “Analisi Difesa” che si occupa di letture di tematiche militari e nessi e connessi, tecnici e meno tecnici. Da febbraio 2022, invasione dell’Ucraina, Gaiani è spesso consultato da Rete 4 ed altre reti Mediaset, sporadicamente anche Rai. Questo tecnico dell’arte militare nell’agosto del 2018 – e fino a settembre 2019 – entrò nello staff del Ministro dell’Interno Matteo Salvini con l’incarico di consigliere per le politiche della Sicurezza: stipendio 65 mila euro l’anno. Putiniano da sempre ed anti accoglienza immigrati da sempre (si veda “Immigrazione, la grande farsa umanitaria””- Aracne 2017 – con Giuseppe Valditara).

Nell’intervista Gaiani solleva dubbi riguardo gli effetti attesi (o a cui forse si è già rinunciato) sulla strategicità del contributo pro-Ucraina dei carri armati, un’operazione che avrebbe più un valore politico che di peso militare. Direi invece che nell’immaginario collettivo il valore non è né politico (troppo contorto per essere capito) né militare, ma simbolico. Lo disse già il Gen. Graziano a fine febbraio scorso, quando spiegò che nessuno si sarebbe più aspettato oggi una guerra con i carri armati, i cannoni, la fanteria ecc, cioè con un armamentario che più classico non si può. La guerra ha poi preso una piega più attuale, ovvero missilistica. Adesso sembra d’improvviso tornare a certe sue canoniche basi ovvero l’avanzata a suon di truppe corazzate. Senza l’aviazione e la missilistica balistica l’avanzata via terra non è decisiva. In ogni caso il deterrente di numerose, attrezzate e preparate truppe corazzate non sarebbe affatto cosa da poco per contenere l’invasore, ma questo significherebbe una messa in moto di una nuova industria bellica in grado di fornire abbondanza continuativa di armamenti e non le cessioni a singhiozzo di quaranta o sessanta carri.

Ma c’è un’altra cosa da considerare. Chi oggi ancora dice preferibili i pur imperfetti sistemi democratici occidentali forse dimentica che il 6 Giugno del 1944 senza 150mila soldati americani, britannici, canadesi, polacchi e francesi che parteciparono al D-Day, con 3.100 mezzi di sbarco provenienti da 1200 navi da guerra e 7.500 aerei, non sarebbe stato possibile avere ragione dei tedeschi dislocati lungo tutta la costa atlantica, dalla Norvegia al sud della Francia, in un sistema di bunker e fortificazioni blindatissimi e riforniti chiamato il Vallo Atlantico. Lo sbarco avvenne su cinque spiagge a est di Cherbourg e ci vollero poi sei giorni per riunire tutte le truppe disperse lungo un fronte di cento chilometri.

Arrivano i nostri

C’è stato un tempo in cui vedere affacciarsi un M-26 Pershing o un M4 Sherman americano o un IS-2 (Iosif Stalin 2) sovietico voleva dire liberazione ed esultanza generale. (Naturalmente vale anche il contrario, vedi Praga ’68 o Piazza Tienamnen ’89.) Quando esaminò l’IS-2 Stalin disse: “Con questo carro armato porremo fine alla guerra”.  Entrato in forze nell’Ottobre del 1943, fu il carro con cui i Sovietici – la 70ª Brigata di Carri armati dell’Armata Rossa – arrivarono ad Auschwitz. Che non fu il primo dei Campi di concentramento nazisti liberati: i Sovietici avevano già raggiunto quello di Majdanek, vicino a Lublino (Polonia), nel Luglio del 1944. Nell’Estate di quell’anno i russi conquistarono anche le zone in cui si trovavano i Campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka, tutti Campi però che i Tedeschi avevano smantellato nel 1943, dopo l’eliminazione della maggior parte degli Ebrei polacchi. Sul fronte occidentale, il 4 aprile del 1945 la 4ª Divisione Corazzata e l’89ª Divisione di Fanteria della Terza Armata statunitense liberano Ohrdurf, un Campo secondario di Buchenwald. Una settimana più tardi, dopo aver visitato Ohrdurf, il Generale Eisenhower, esterrefatto, ordinò una minuziosa documentazione delle atrocità perpetrate dai nazisti nei Campi di concentramento, affinché nessuno in futuro avesse potuto negare che fossero avvenute.

La pace e il pacifismo da operetta

“La pace è la sintesi di tutte le cose buone che possiamo desiderare” (Papa Francesco agli artisti del Concerto in Vaticano, 17 dicembre 2022). Se questo è vero, se la pace è la derivata di una composizione, che si capisce complessa, allora non basta che non si spari. Un certo pacifismo semplificatorio e autarchico non si sa per che pace sia impegnato. Il tormentone dei carri armati pro Ucraina ne è,  appunto, un bell’esempio: un caccia, un’arma aerea, una tecnologia missilistica è ben più guerresca, ma c’è da scommettere che se venissero paracadutati quattro soldati si griderebbe alla guerra mondiale più che un attacco di diecimila droni. In questo senso il pacifismo ha suoi totem immarcescibili: le guerre non ci sarebbero se non ci fossero le armi (come dire che i ladri diserterebbero se la polizia li lasciasse perdere); le armi ci sono perché chi le fabbrica alimenta e non sopisce i conflitti; i militari, chi veste una divisa, in tutto questo è uno stupido, riprovevole e ridicolo sub-umano che gioca a soldatini.

Due parole sugli Abrams

Ancora ferma ai films della Seconda Guerra Mondiale la gente pensa che potenze come Stati Uniti o Russia abbiano riserve infinite di armi convenzionali, e quindi carriarmati e autoblindo come noccioline. Naturalmente questo ragionamento non tiene conto che se anche ciò corrispondesse a verità equivarrebbe, ad esempio, all’avere conservato in deposito dal ‘700 un milione di sciabole di cavalleria. L’ingegneria militare scade più delle bottiglie del latte. Gli USA hanno oltre 6000 carri armati e la Russia oltre 4000. Ma di quelli un po’ più moderni ed efficaci – gli M1A1 Abrams (in attesa dell’Abrams-X) – l’America ne ha poco più di 200 (e ne ha promessi 31 all’Ucraina); il contro-Abrams, e contro Leopard 2 A7 Plus della Bundeswehr, dei russi è oggi il T14, ma Putin ne ha al momento, sembra, poco più di 100. Questi sono i dati.
Appendice
Chi era Creighton W. Abrams

Aveva meno di trent’anni quando da Tenente Colonnello al comando del 37° Battaglione corazzato scese sul fronte della Normandia, partecipò alla battaglia delle Ardenne, arrivò al Reno, entrò in Germania ed in Cecoslovacchia e fu tra i protagonisti del crollo delle esigue truppe tedesche rimaste. Nel 1963 Kennedy lo promosse a Tenente Generale, grado con cui prese il comando del V Corpo d’Armata in Europa. Nel 1964 ottenne la quarta stella e quindi il grado di Generale d’Armata, assumendo subito dopo l’incarico di Vice-Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Americano (si parlò di lui anche come serio candidato alla carica di Capo di Stato Maggiore generale). Il momento culminante, più complesso e difficile della carriera di Creighton Abrams giunse nella Primavera del 1967, quando venne inviato in Vietnam come Vice-Comandante a fianco del Generale William C. Westmoreland (l’ammirato generale della Carolina del Sud molto simpatico ai johnsoniani e poco ai kennediani). La situazione sul campo era difficilissima, al di là dell’ottimismo di facciata sbandierato dai politici e dallo Stato maggiore.

Nei primi mesi del suo incarico, Abrams supportò pienamente la strategia offensiva condotta da due anni dal Generale Westmoreland, mentre la sua prima importante assunzione di responsabilità sul campo venne solo nel Gennaio 1968 quando, durante l’assedio di Khe Sanh, il Comandante in capo americano, preoccupato dalla situazione e continuamente sollecitato dal Presidente Johnson, costituì un Comando avanzato del MACV nelle regioni settentrionali del Vietnam del Sud per coordinare con più efficacia le operazioni. Abrams assunse, il 9 Febbraio 1968, la guida  del MACV e nel Giugno sostituì Westmoreland come Comandante in capo di tutte le forze USA nel Vietnam. Il 20 Gennaio del 1969 Richard Nixon divenne Presidente degli Stati Uniti al posto di Johnson. Abrams passò subito alcuni suggerimenti al nuovo Presidente: l’operarazione “search and destroy”, la colonna portante dell’aiuto statunitense al Vietnam del Sud (individuare le cellule comuniste infiltrate nel Sud e distruggerle) era un fallimento e i 543.000 americani lì in azione non avevano ottenuto “il progressivo logoramento e il crollo politico morale del nemico” come assicurato da Westmoreland. Al contrario, come preconizzato da Robert McNamara che nel Febbraio del 1968, in pieno contrasto con Johnson, si era dimesso da Segretario di Stato alla Difesa, vincere la guerra combattendo al posto dei sud-vietnamiti poteva essere al massimo ormai “una chiacchiera da salotti di Washington”, e come considerò Abrams con Nixon il problema era ormai “uscire dalla guerra il prima possibile senza sembrare di averla persa”.

Con casistiche poi in parte ripetutesi recentemente nello scenario afgano, gli Stati Uniti cercarono una de-escalation attraverso una vietnamizzazione del conflitto, a cominciare dal rafforzamento dell’apparato istituzionale, governativo e militare del Vietnam del Sud. Ma la credibilità dell’ammininistrazione di Saigon era meno di zero, e le alleanze locali, le strategie politiche per popoli di tutt’altra cultura non si possono esportare. Così, con Abrams che aveva portato da 500mila a meno di 50mila uomini gli effettivi americani in tutto il Vietnam, le scompaginate e deboli classi dirigenti locali si sciolsero come neve al sole allorché gli indottrinati ed addestrati, coriacei Vietcong di Võ Nguyên Giáp si presentarono a Saigon ad aprile del 1975. Ma prima, a cominciare dall’Aprile 1970, gli Stati Uniti, pur in ritirata, avevano continuato (Abrams pure d’accordo) a sommare errori, invadendo la Cambogia dove pensavano che l’obliquo principe Sihanouk a ospitasse basi nord-vietnamite. Poi da questo errore gli orrori dei Khmer rossi.

La frase di Nixon “non voglio essere il primo Presidente degli Stati Uniti a perdere una guerra”, segnò anche il declino di Abrams. Cedette il comando del MACV nel Giugno del 1972 al Generale Frederick Weyand. Per lui il Vietnam era faccenda chiusa. Fece ritorno in Patria con il suo prestigio ancora intatto ma amareggiato dai contrasti politici tra le varie autorità, e anche dalle polemiche nell’opinione pubblica. Affetto da un tumore al polmone, Creighton Abrams morì prematuramente a neanche 60 anni, il 4 Settembre del 1974. Ancora oggi egli mantiene un grande prestigio all’interno delle forze armate americane: dotato di dimostrate capacità morali ed intellettuali, riconosciuto dalle truppe come uno di loro (suo padre era un operaio, la famiglia rurale), modesto, schivo, semplice, alieno da atteggiamenti roboanti eppur tuttavia tenace e preparato, resta uno dei migliori comandanti che un insieme di uomini in divisa, se ragionevoli e realisti, possa auspicare di avere.