USA, non è la Russia il nemico

Purtroppo l’insuccesso di Trump, fino a oggi, nel controllare e dirigere la cruciale relazione con la Russia, benché abbia evidenti giustificazioni, significa che le relazioni bilaterali rimangono tese

Come in quella europea, nella storia americana è frequente la cattiva scelta del nemico, che conduce a catastrofi e a lutti spaventosi. Possiamo augurarci che ciò non accada a causa dell’attuale russofobia americana. Dopo l’incontro Trump-Putin a Helsinki nel luglio 2018 e gli attacchi a Trump che ne sono conseguiti, pensiamo che la strada da seguire per Trump sia quella di confermare la validità della sua scelta di dialogo con il Cremlino, denunciare la disonestà degli attacchi da parte di alcuni politici e dei media più diffusi, andare avanti verso un buon accordo con la Russia. Un accordo che metta le basi per un nuovo trattato sul controllo di armi e materiali nucleari; e un accordo che, tra altre cose, ponga un freno alla vendita di armi russe all’Iran e limiti la pericolosa (in relazione a una guerra con Israele) presenza iraniana in Siria. Pensiamo che il governo Trump debba poi presentare i risultati dell’accordo in Congresso e chiederne la ratifica.

 

Invece, a bloccare ogni progresso, c’è la truffa della mai esistita collusione tra Trump e agenti russi in campagna elettorale: truffa rinnovata con torbido accanimento da politici come il leader Democratico nella Commissione intelligence della Camera (Adam Schiff, che l’ex agente del Secret Service Dan Bongino, divenuto pubblicista, ha definito “una vergogna per il genere umano”) e c’è la relativa indagine del procuratore speciale Mueller, tenuta in piedi dalla presenza, all’interno della cospirazione anti-Trump, del vice ministro della Giustizia Rosenstein, che dovrebbe garantire l’equità dell’indagine, mentre di fatto è parte in causa. A bloccare le scelte necessarie per le relazioni con la Russia c’è il degrado dei media più diffusi; c’è l’ostruzionismo dichiarato dei Democratici; e c’è la russofobia di Washington, condivisa da alcuni ambienti Repubblicani. Dunque nell’agosto 2018, anziché le basi per un accordo, il Dipartimento di Stato annuncia nuove sanzioni alla Russia per il supposto avvelenamento, con materiali chimici, di un ex agente russo in Gran Bretagna nel marzo precedente. La richiesta bipartisan di sanzioni è arrivata dal Congresso, che chiede l’esecuzione di una legge del 1991 riguardo all’uso di armi chimiche.

 

Nei mesi precedenti, sulle reti TV l’immagine degli agenti di Scotland Yard che si muovevano con le tute anti-chimiche nelle strade di una città inglese forniva l’idea di un attacco pericoloso. Di fatto, però, le accuse del governo inglese al Cremlino come mandante del tentato omicidio sono poco provate. Londra ha rifiutato di condividere i reperti dell’avvelenamento con il governo russo. L’affermazione che il gas nervino utilizzato sia “russo” deve confrontarsi con il fatto che le attività di laboratorio chimico sono quasi pubbliche (per esempio, anni fa uno scienziato russo fuoruscito rivelò dati sui gas nervini). Come sempre, il caso mediatico serve a fuorviare l’attenzione. Si può notare che il governo di Londra, come il suo sindaco di origine pakistana e molto di sinistra, hanno ben altri problemi. Il livello di criminalità a Londra è senza precedenti. Nel paese è in corso da decenni l’occupazione islamica di interi quartieri urbani. Vi sono quasi 5 milioni di islamici. Secondo un rapporto di The Times, nelle grandi città vi sono scuole dove l’80% degli scolari è islamico. Vi sono denunce di gang criminali islamiche. Come in Svezia, vi sono quartieri dove la polizia non entra. Da parte di potentati arabi vi sono acquisti per miliardi di sterline di immobili che erano luoghi storici di Londra: i magazzini Harrod’s, l’hotel di lusso Claridge, l’ex sede dell’ambasciata USA. Ebbene, il caso difettoso dell’ex agente russo avvelenato, già strumentale a Londra, viene poi usato a Washington per imporre nuove sanzioni alla Russia. Di fatto, la rovinosa russofobia americana è sostenuta e propagata dagli stessi centri di potere mediatico e dagli stessi ambienti politici e finanziari che hanno inondato l’Occidente con immigrati in arrivo dall’ex terzo mondo, e hanno in programma di continuare a farlo.

 

Le nuove sanzioni americane alla Russia hanno dimezzato il valore del rublo, con grave danno per il potere d’acquisto dei russi (poi, nell’autunno 2018, vi è stata per il rublo una parziale ripresa); hanno tagliato gli investimenti esteri nel settore energetico russo; hanno bandito l’export occidentale in Russia di tecnologia elettronica. In una seconda fase l’Aeroflot, la compagnia aerea di bandiera russa, non potrà volare negli USA e le relazioni diplomatiche verranno ridotte. Sembrano scelte di guerra, e sono demenziali. Una volta tanto la buona notizia arriva dall’Unione Europea, che non si adegua per il momento alle nuove sanzioni. Ma in America i nemici di Trump sono determinati a bloccare il suo progetto di dialogo con la Russia. Quanto ai danni che le sanzioni causano a Putin, in un momento di sua difficoltà all’interno del paese – perché il progetto del governo russo di alzare, per la prima volta da decenni, l’età per andare in pensione, viene contestato, e perché il tenore di vita della classe media è intaccato da inflazione al 3% e stipendi bassi –, i media russi possono affermare che le sanzioni di Washington vogliono bloccare il ritorno della Russia, come grande potenza, sulla scena mondiale. Voci nel governo russo, anche quella di Putin, affermano che la NATO vuole stringere intorno alla Russia una catena, dal Baltico al Mar Nero. Media russi scrivono che la NATO dispiega truppe e materiali nell’Europa dell’Est per prepararsi a una guerra con la Russia. Queste voci non recano danno alla leadership nazionalista di Putin. Anche le sanzioni contro gli “oligarchi” russi arrivano dopo che per anni Putin ha cercato di persuadere alcuni tycoon, e in generale i russi ricchi, a riportare in patria i fondi esportati: adesso, per il timore di veder bloccate le loro risorse dalle sanzioni, alcuni dei ricchi si stanno adeguando alla richiesta di Putin.

 

Le nuove sanzioni USA ridurranno la già modesta crescita economica russa. Ma la Russia ha tenuto dopo le sanzioni obamiane del 2014, e lo farà ancora. Dall’economia russa arrivano anche buone notizie. Per esempio, la produzione agricola è cresciuta negli ultimi anni. Raccolti eccezionali di grano ed orzo hanno fatto della Russia uno dei maggiori esportatori al mondo di tali derrate. Chi ricorda che, sotto l’URSS, Mosca importava grano, sarà sorpreso di sapere che nel 2016 la Russia è divenuta il maggior esportatore di grano, superando USA e Australia (tra i maggiori acquirenti vi sono India, Cina, Arabia Saudita, Egitto). Inoltre, dopo le nuove sanzioni USA, il governo russo può attivare controsanzioni, come fece nel 2014. In risposta a misure contro Aeroflot, può imporre alle compagnie aeree USA tariffe più alte per l’uso dello spazio aereo russo. Può limitare, o anche chiudere, le attività in Russia di grandi corporations USA che vi fanno affari: da Apple a Microsoft, da McDonald a Citibank a Procter & Gamble. Il governo di Mosca può, come ha già iniziato a fare, vendere miliardi di dollari di titoli del Tesoro USA, commerciare in valute diverse dal dollaro, e in accordo con la Cina – si dice – usare le loro riserve di oro come strumento strategico, ritornando a valute che abbiano un rapporto di cambio con l’oro e che dovrebbero rendere indipendenti dal dollaro USA. Anche se ciò non accadrà, l’attuale russofobia di think-tank e ambienti politici a Washington, in particolare del Senato (con pregevoli eccezioni, come il senatore Rand Paul), appare incongrua e rovinosa. Di fronte a eventi estremi ma non impossibili, come una nuova “crisi di Cuba” nell’enclave russa di Kaliningrad o altrove, chi fermerà la prospettiva di una guerra? Non i senatori con mentalità da guerra fredda, non i media fuorvianti che amplificano le dichiarazioni di politici ignoranti o globalisti. Saranno Trump e il suo governo a doverlo fare, se avranno sventato il progetto eversivo e corrotto di abbatterli.

 

Purtroppo l’insuccesso di Trump, fino a oggi, nel controllare e dirigere la cruciale relazione con la Russia, benché abbia evidenti giustificazioni, significa che le relazioni bilaterali rimangono tese, che le cattive azioni del governo russo in quanto a vendita di armi all’Iran o alla Cina, o in quanto a pericolose intrusioni sulle rotte aeree del Baltico, proseguono, e che una dannosa guerra economica non viene fermata. Trattare la Russia come un nemico irriducibile, mentre si accolgono con indulgenza – come accade da oltre un quarto di secolo – le attività ostili della Cina, è un errore storico e strategico. Come lo è spingere, con le sanzioni, la politica russa a collaborare con la Cina in misura così esplicita (per esempio, nel settembre 2018, alle mega-esercitazioni militari russe nell’Est della Siberia sono stati invitati a partecipare truppe e alti ufficiali cinesi, cosa mai accaduta) da far dimenticare che tra Russia e Cina esistono potenziali conflittualità, anche territoriali.

 

Lo spionaggio o le ingerenze russe, enfatizzate a Washington, sulle campagne elettorali americane hanno una dimensione modesta in paragone alla portata e alle risorse dello spionaggio cinese, che ogni giorno conduce intrusioni cyber su settori vitali, militari e civili, del governo e di società private USA. Anche con lo spionaggio e il furto di tecnologia avanzata negli USA, la Cina sta costruendo strutture militari aggressive. Vuole controllare zone dell’East China Sea reclamate da Corea e Giappone. Vuole controllare il South China Sea, dove passano ingenti traffici commerciali, e negli anni di presidenza obamiana ha preso il controllo militare delle isole (o ne ha costruite di nuove, partendo da rocce e banchi sabbia) di quel mare, che si trovano a oltre mille km dalla costa cinese. Il governo cinese autorizza attività predatorie nel mondo informatico, anche finanziate dallo stato. Quanto ad elezioni americane, con la ritorsione cinese per le tariffe commerciali imposte da Trump – ritorsione che punta a danneggiare gli agricoltori americani e in generale gli stati del Mid West – il governo di Pechino cerca di modificare il voto di quegli stati e dei farmers, che sono tra gli elettori di Trump: dunque mette in atto una pesante ingerenza (su giornali di regioni agricole, come il Des Moines Register in Iowa, sono persino comparsi annunci e finti articoli, finanziati da emissari in USA del governo cinese, che prevedono rovina per gli agricoltori). Verso le industrie che lavorano per la Difesa e verso le tecnologie avanzate, negli USA la Cina conduce da tre decenni ingerenze predatorie. La cifra ufficiale per il furto cinese di proprietà intellettuale è di circa 600 miliardi di dollari l’anno. Il governo cinese impone un trasferimento forzato di tecnologia alle società USA (ed europee) che entrano nel mercato cinese, cioè le obbliga a condividere know-how con società cinesi. Il governo di Pechino ha come programma ufficiale di dominare entro il 2025, tramite società controllate dallo stato, i settori delle nuove tecnologie.

 

A differenza dei precedenti governi e presidenti, Trump denuncia in modo esplicito le attività predatorie della Cina, e le tariffe commerciali sono uno strumento per arrivare a un accordo che ponga freni a quelle attività. Già il deficit commerciale degli USA, così sbilanciato a favore della Cina (375 miliardi di dollari nel 2017), è un trasferimento di ricchezza dagli USA verso la Cina. Esso ha conseguenze sulla crescita economica, e dagli anni Novanta in poi ha avuto un peso sui milioni di posti lavoro persi negli USA in industrie importanti, dall’acciaio all’elettronica. I globalisti, a cominciare dalle grandi società della Silicon Valley, non si oppongono alle politiche cinesi, nemmeno quando vi è violazione delle leggi sui brevetti o sul copyright, o quando vi è pericoloso spionaggio militare. Essi non si oppongono, perché molti di loro si sono arricchiti costruendo fabbriche in Cina e producendo sottocosto.

 

Sul piano strategico il sostegno russo alle due repubbliche separatiste nell’Est Ucraina, che è stato causa di sanzioni e di guerra, ha scarso peso in paragone all’occupazione cinese di mari e isole, alla loro militarizzazione, o alle iniziative neocolonialiste (sostenute dalla ricchezza finanziaria accumulata con commerci sbilanciati) della Cina in tre continenti. In termini di popolazione, di dimensioni e peso dell’economia (quella cinese è oltre cinque volte più grande di quella russa), di investimenti militari, e di potenziale espansionismo territoriale, oltre che commerciale, la minaccia è la Cina, non la Russia. La Russia rimane una grande potenza che sta cercando nuovi equilibri. Lasciarla nelle larghe maglie finanziarie della Cina, anziché porsi l’obiettivo opposto, è una pessima scelta. Circa il 15% dell’export russo di armi viene comprato dalla Cina, inclusi sistemi d’arma destabilizzanti come i missili terra aria S-300 ed S-400, o missili terra-mare di ultima generazione, in grado di colpire per esempio una portaerei da centinaia di km di distanza. I legami economici della Russia con la Cina trovano fondamento nella sete cinese di materie prime e di energia. Nuovi, grandi gasdotti e oleodotti dalla Russia verso la Cina sono in costruzione. Le sanzioni applicate dall’Unione Europea hanno motivato le società russe ad accrescere l’export di gas e petrolio verso la Cina. Può darsi che in questo vi sia una dose di miopia da parte russa. Al Cremlino hanno deciso che la Cina ha rinunciato a reclamare territori russi in Siberia? O il Cremlino pensa di aver chiuso l’argomento dando in leasing, cioè affittando, a comunità cinesi milioni di acri di terra siberiana? In ogni caso, spingere la Russia tra le braccia della Cina è un’idiozia di storiche proporzioni. Se Trump riesce a sottrarsi alle trappole della russofobia, il tempo è venuto per impostare un dialogo costruttivo con la Russia. E, tra altre cose, per riconoscere che la Crimea è Russia e lo resterà per sempre, e per chiedere al governo di Kiev un accordo con Mosca riguardo all’Ucraina dell’Est, mettendo fine al più presto alle sanzioni antirusse.