Vannacci irrompe sulla scena e la politica inscena povertà

Le parole del generale sono insieme un negativo e un positivo, un connubio di immagine sfocata ed una messa a fuoco che lascia sempre dubbi sulla sua verità.

Pur avendo le sue origini ed il suo fortino al Nord, si è svelato il segreto di Pulcinella, maschera che, secondo la tradizione, ha casa alle pendici del Vesuvio e che ha la franchezza di chi è incapace a mantenere la consegna del silenzio. Se a via Bellerio ci fosse un camino, dal comignolo ora uscirebbe finalmente una fumata bianca. In ogni caso il dado è tratto è il generale Vannacci ha passato il Rubicone con il proposito di occupare uno scranno al Parlamento europeo sotto le insegne della Lega. Per questo, il partito di Salvini non corre il rischio di slegarsi ma di perdere almeno compattezza.

Può darsi che Salvini e Vannacci richiamino, in caso di flop, quell’antica gag di un Carosello in cui la coppia Franchi e Ingrassia si annunciavano con il ritornello: ”Come sempre Franco e Ciccio son finiti in un pasticcio”. Vannacci è uno che muove le acque dicendo quello che pensano non sparute persone su omosessuali, sulla caratura di statista di Mussolini, sulle classi separate per i disabili, sull’aborto e qualche altro tema per sua natura divisivo nell’Italia di oggi. 

La Chiesa è in allarme e non c’è da darle torto. Ci sono materie che vanno trattate con la delicatezza ed una prudenza che sembra mancare nell’impeto d’assalto del nostro militare. Le sue idee corrono sempre sul crinale di giudizi in parte ovvi e radicati nel campo di alcuni. Nel suo dire trapela una quota di eventuale sensatezza, pronta a portarsi di risulta forse un più vero, abietto intendimento di leggere il prossimo e il mondo circostante in una certa maniera. Le sue parole sono insieme un negativo e un positivo, un connubio di immagine sfocata ed una messa a fuoco che lascia sempre dubbi sulla sua verità.

Esprime un parere e all’un tempo pare voglia alludere per compiacimento soprattutto ad altro. Dà miccia ai suoi nemici e buone argomentazioni a quanti, al contrario, gli prestano fede ritenendolo inattaccabile, perseguitato solo da malevoli sospetti di avversari che vedono il male anche quando non c’è.

Quello del Vannacci pubblico è un perenne stare in bilico tra un detto ed un inconfessato, tra un appostarsi in prima fila fieramente in trincea e un acquattarsi invece in retroguardia per non rendersi del tutto riconoscibile.

Il bilico militare è un trattore stradale che traina veicoli privi di motore a cui si aggiunge un semirimorchio. È un primo che trascina un secondo. Il destino della Lega e del Generale Vannacci sembra essere a sua volta in bilico pur non essendo chiaro chi ha il compito di tirare e chi invece si muove a ricasco.

Così ha sciolto la riserva e si candida per la Lega al Parlamento europeo nella Circoscrizione dell’Italia centrale come capolista ed in altre quattro circoscrizioni in posizioni di minor vantaggio. Non mancano le polemiche. Vannacci non ha la tessera della Lega e non è chiaro se il suo nome apporterà consensi ulteriori a quel partito o se invece semplicemente ne approfitterà per essere eletto. Chi è il trattore e chi il rimorchio, chi è il gregario e chi il campione, chi tira la volata e chi ne approfitta si vedrà solo al risultato finale del 9 giugno.

Gli è stata data un possibile diritto di tribuna pur non vantando una storia con la Lega, è un militare ma non è un militante.

Il tribuno è una figura di potere che prende piede da una tribù di origine. Su Vannacci pende come per altri una questione di identità. L’Urbe nacque dalla felice convergenza di tre tribù: la latina, la sabina ed infine quella etrusca. Fu un capolavoro di sintesi. Occorre vedere se la Lega e Vannacci sapranno fare altrettanto o se un giorno chiameranno i distinguo per poi abbandonarsi a distinti destini. Chi pagherà un tributo a chi, è l’enigma da risolvere prima che sia troppo tardi senza cadere nella trappola di una politica primitiva.

C’è ancora di che preoccuparsi. Vannacci ha il merito di distogliere l’elettorato da un vizio italico che non può lasciare indifferenti. Siamo in presenza di una ridda di candidati che abbandonano le poltrone di Consigliere regionale e del Parlamento Nazionale per ambire alla patria europea.  C’è da chiedersi con severità perché abbiano chiesto il voto al tempo della loro ultima elezione se l’ambizione era piuttosto un’altra. Peggio ancora, in caso di fallimento, cadranno comunque in piedi, avendo già intanto una poltrona assicurata, anche se non più amata.

È una questione di stile e di rispetto di un elettorato già fin troppo abituato a cambi di casacche anche da un polo all’altro dell’agone politico.

In attesa di una legge elettorale che abbia tratti di decenza, sarebbe bello immaginare una sorta di vincolo per il quale sia impossibile candidarsi da altra parte, se prima non abbia avuto termine la legislatura per la quale si è intanto stati eletti. Il popolo votante, a sua volta, con una dignità da difendere, dovrebbe saper vigilare e sanzionare. La politica non è un lascia e raddoppia ed i partiti, o la loro parvenza, in occasione della prossima competizione per Strasburgo dovrebbero ancor più fare a meno di lanciare, come esche da richiamo, i propri leaders, che peraltro non metteranno mai piede da quelle parti. 

Tanto meno, per un candidato, dovrebbero ammettersi una stessa candidatura in più Circoscrizioni, in modo da garantirgli maggiore opportunità di vittoria.

Così non fosse, soccorre ad utile ricordo il nostro Albertone nazionale quando ci ha allietato con quella sua predittiva canzoncina che recitava: “Te c’hanno mai mannato a quel paese, sapessi quanta gente che ce sta…”. Un paese, per tutta chiarezza, più facilmente raggiungibile della agognata terra europea.