In attesa di vedere quale sarà l’esito del vertice fra Trump e Putin in Alaska che inizia nella serata italiana della Festa dell’Assunta, si può osservare che un risultato questo incontro lo ha già ottenuto. Infatti, ha innescato una definizione cristallina delle posizioni sul conflitto russo-ucraino. Un disvelamento nitido delle diverse strategie avvertibile a livello internazionale come nell’opinione pubblica nazionale.
Persino l’enfasi su quanto possa contare questo vertice sulla soluzione della guerra in Ucraina, sembra nascondere la preoccupazione per la possibilità che si tratti di un bilaterale funzionale più a un percorso più ambizioso, di definizione di un nuovo ordine mondiale Usa-Brics, che al solo superamento di quel conflitto.
La scelta della sede, un territorio russo, venduto agli Stati Uniti nell’Ottocento, dice di una amicizia russo-statunitense più lunga e più profonda nella storia, dei periodi di tensione. Ci parla di comuni interessi e di sfide condivise da entrambi. Da quelle economiche e commerciali, alla gestione delle rotte dell’Artico, a quelle geopolitiche.
Stati Uniti e Russia sono accomunati anche da un rapporto complesso, per motivi diversi, con la potenza ex imperiale britannica, e attuale potenza finanziaria, alla guida di quelle forze che in Occidente si mostrano determinate a contrastare l’affermarsi di un ordine globale multilaterale. È proprio su questo punto che Londra va di fatto, al di là degli aspetti formali, in rotta di collisione contemporaneamente sia con Washington che con Mosca.
La City ha bisogno come l’ossigeno di politiche monetarie accomodanti da parte di Washington e ogni segnale di riavvicinamento a sistemi basati sulla convertibilità oro-Dollaro, per portare l’economia americana nel nuovo ordine multilaterale, è percepito sulle rive del Tamigi come una minaccia esistenziale.
Nel contempo l’Inghilterra non ha mai rinunciato a una sua visione geopolitica, ereditata dall’epoca imperiale, secondo cui il ridimensionamento, la destabilizzazione e possibilmente la balcanizzazione del territorio della Russia (in gran parte coincidente con l’Heartland nella terminologia di Mackinder) costituisce una priorità per se stessa e da imporre agli stati dell’Europa occidentale.
Ora, se si guarda l’allineamento delle posizioni in Europa in vista del vertice odierno nei pressi di Anchorage, si può notare che esso fotografa fedelmente lo schema di relazioni, qui sommariamente richiamato. La linea l’ha data Londra: nessuna soluzione al conflitto senza il coinvolgimento dell’attuale governo ucraino. La Francia ha portato tutti i grandi Paesi Ue su tale linea, riuniti insieme al Regno Unito nel formato dei volenterosi. E perché non vi fosse alcun dubbio residuo, alla vigilia del summit fra Trump e Putin, il primo ministro Starmer ha ricevuto Zelensky, per dare, come recita un comunicato di Downing Street ,”un potente segnale’.
Una tale configurazione di posizioni risulta ben rappresentata anche nella stampa Italiana, con molti commenti il cui pregio maggiore forse non consiste esattamente nella serenità di giudizio, ma tradisce un qualche risentimento per un evento che rischia di cambiare certezze consolidate.
Non è possibile misurare il grado di convinzione con cui l’Italia aderisce allo schieramento di posizioni che si è prodotto in occasione di questo incontro russo -americano, ma ci si può sbilanciare nel rilevare che il nostro Paese sarebbe fra i maggiori beneficiari dei dividendi della pace in Europa. I quali potranno essere molto più consistenti ed estesi a tutti i Paesi membri Ue, nella misura in cui Bruxelles saprà recuperare, sull’Ucraina come su altri dossier strategici, una giusta autonomia da Londra, anche per rafforzare, su basi paritarie i forti e irrinunciabili legami fra le due sponde della Manica.
Nonché per dimostrare al mondo che l’Europa ha ben chiaro che l’attesa del vertice in Alaska non può esser essa stessa il vertice.