Zuppi in Ucraina nel segno della intercessione di cui parlava Martini

L’iniziativa della Santa Sede rivela il profondo coinvolgimento che nasce dal desiderio di mettersi nel mezzo, di "intercedere" nel senso usato dall’allora Arcivescovo di Milano, card. Martini, per altri scenari di guerra.

La visita in corso a Kyiv del card. Matteo Maria Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e Inviato del Santo Padre, si configura come “una iniziativa che ha come scopo principale quello di ascoltare in modo approfondito le Autorità ucraine circa le possibili vie per raggiungere una giusta pace e sostenere gesti di umanità che contribuiscano ad allentare le tensioni”.

Il modo in cui la Sala Stampa Vaticana ha comunicato lo scopo del viaggio del card. Zuppi (che sarà inviato anche nella capitale della Russia) conferma la natura propedeutica di questa iniziativa a una vera e propria missione di pace. Essa si prefigge di rimanere nei limiti dell’ascolto del punto di vista delle parti circa la via da intraprendere per il raggiungimento della pace e del sostegno all’apertura di corridoi umanitari per lo scambio dei prigionieri e per alleviare le sofferenze della popolazione, cercando in tal modo di creare i presupposti per l’avvio di colloqui di pace fra le parti.

Nel contempo esprime un alto grado di coinvolgimento nel conflitto da parte della Chiesa. Come ha osservato Nello Scavo su Avvenire, lo stesso card. Zuppi in una recente conferenza stampa ha ricordato che nel conflitto ucraino c’è un coinvolgimento del Papa “fino alle lacrime”.

Proprio questo coinvolgimento, questo profondo patire insieme ai fratelli che soffrono per la guerra, può essere ritenuto come la chiave dell’iniziativa vaticana. Un interessamento al dramma che sta avvenendo in Europa, che si pone prima del giudizio storico e politico sugli eventi, pur tenendolo nel debito conto, e che richiama, per più di una fondamentale ragione, quello spirito di intercessione evocato, in tutt’altra situazione, ma storicamente non senza nessi con quella attuale, dal card. Carlo Maria Martini nell’omelia che tenne alla veglia per la pace nel Duomo di Milano, il 29 gennaio 1991, qualche giorno dopo l’inizio della più imponente operazione militare occidentale dalla Seconda Guerra Mondiale, nella Prima Guerra del Golfo.

In quell’occasione l’allora arcivescovo di Milano fece una mediazione sulla necessità di un grido di intercessione nelle situazioni di conflitto, e sul significato cristiano dell’intercessione.

Intercedere vuol dire, spiegò il card. Martini, “mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto”, in modo coinvolgente, assumendosi il rischio che deriva da questa posizione. La Chiesa non dispone di altri strumenti, ma alla fine questo può rivelarsi come quello più idoneo al bene dell’umanità.

Perché, come ha osservato padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, in un contesto in cui l’unica logica per le parti in causa sembra essere quella della vittoria, non quella della pace che suona come una resa, “per evitare la catastrofe – alimentata da una parte e dall’altra dalla certezza di una vittoria sul campo – serve provare ad allentare la tensione, muoversi sui «gesti di umanità»”. 

Intercedere. Ora come 32 anni fa, quando tutto è cominciato. Perché le radici delle tensioni attuali affondano nel terreno di una strategia che fece il suo esordio con la Prima Guerra del Golfo, che assegnava alla potenza uscita vincitrice dalla Guerra Fredda il ruolo di gendarme del mondo, anziché quello di un generoso, ma non affatto sprovveduto, “fratello maggiore”, di “accompagnatore” verso un inevitabile e reciprocamente vantaggioso multilateralismo. Per focalizzare il compito che sta davanti all’Occidente, e ai suoi vertici, è necessario aver compreso gli errori compiuti e avviare una interlocuzione diversa con il resto del mondo, che si va facendo sempre più consapevole del suo ruolo. Occorre dar vita a una nuova era di relazioni come presupposto anche del disinnesco della minaccia costituita dal conflitto ucraino per il futuro dell’intera Europa e per la stabilità globale.

Ma prima servono reciprocamente gesti di umanità, che, come auspica l’iniziativa vaticana, possono, potrebbero, rivelarsi più concreti del fragore delle armi ad oltranza.