L’autonomia differenziata delle Regioni è una proposta che appassiona solo la Lega

La riforma interessa soltanto alla Lega. Non interessa agli altri partiti e al sistema produttivo. Non entusiasma i Comuni e le Province, preoccupati del nuovo centralismo regionale. Non entusiasma neppure l’opinione pubblica.

Poche settimane fa i tecnici del Servizio Bilancio del Senato hanno stroncato il disegno di legge leghista sull’autonomia differenziata che darebbe più competenze alle Regioni con una motivazione inequivocabile: “Le Regioni più povere ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le funzioni aggiuntive”. Le accuse infuocate dei ministri Salvini e Calderoli a FdI, ritenuto responsabile del sabotaggio del ddl, non si sono fate attendere. “Se non passasse – dichiara il giorno successivo Luca  Zaia – verrebbe meno l’oggetto sociale della maggioranza”.  

A queste bellicose dichiarazioni politiche non è seguito nulla. I presidenti delle regioni di centro destra del Sud, che avevano stranamente dato l’assenso due mesi fa alla proposta leghista con straordinari contorsionismi ed equilibrismi, hanno ora tenuto il massimo riserbo. Per quale motivo?  Forse a causa del recente Country report sull’Italia della commissione europea, pubblicato il 24 maggio, che ritiene che l’autonomia differenziata “avrebbe un impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche italiane e sulle disparità regionali”? Forse per le recentissime considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, laddove fa notare che l’attuazione di “riforme già annunciate quali quella del fisco o dell’autonomia differenziata, non potrà prescindere dall’identificazione di coperture strutturali adeguate e certe”? Forse perché l’autorevole Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica di Milano ha chiaramente affermato che con l’autonomia differenziata “la complessità amministrativa crescerebbe esponenzialmente, questa volta su tutto il territorio nazionale, con il rischio di rendere la vita a imprese e cittadini assai difficile dovendo confrontarsi con 21 legislazioni regionali differenti sulle stesse funzioni. È un rischio che va assolutamente evitato”? Oppure molto più semplicemente perché i presidenti delle Regioni del Sud si sono pian piano resi conto che il sostegno alla proposta leghista è autolesionismo?

Anche i presidenti di centro destra delle regioni del Nord non si sono sbracciati per sostenere Salvini. Il riserbo in questo caso è dovuto invece alle prossime scadenze elettorali regionali del 2024/2025 che molto probabilmente modificheranno i rapporti di forza all’interno della destra a vantaggio di FdI, partito che sicuramente farà contare la sua forza elettorale nella scelta dei candidati presidenti.

L’autonomia differenziata interessa soltanto alla Lega. Non interessa agli altri partiti e al sistema produttivo. Non entusiasma i Comuni e le Province, giustamente preoccupati di un crescente regionalismo che potrebbe limitare la loro autonomia, ridurre degli strumenti solidaristici tra territori e rompere il carattere unitario della Repubblica. Non entusiasma neppure l’opinione pubblica. Secondo un sondaggio pubblicato il 19 maggio su ‘ la Repubblica’ gli italiani danno un giudizio negativo sull’autonomia differenziata: il 60% degli italiani ritiene che aumenterebbe il divario fra Nord e Sud (con una punta del 70% fra i giovani e del 76% fra chi risiede al Sud e nelle isole) e il 9% non si esprime. La ricerca rileva anche che soltanto un cittadino su due residenti nel Nord è favorevole all’autonomia differenziata, nonostante i continui e martellanti interventi di questi anni della Lega e dei presidenti delle Regioni del centro-destra. La promessa che l’autonomia differenziata avrebbe risolto i problemi del Paese non convince.

La proposta di autonomia differenziata è oggi minoritaria nell’intero Paese. Forse è ancora maggioritaria nel Veneto e difficilmente lo è ancora in Lombardia, regioni dove si tennero nel 2017 i referendum sull’autonomia con affluenze alle urne diverse: Veneto 57,2% e Lombardia 38,3%.

Per questo motivo il Ministro Calderoli ha girato in lungo e in largo soprattutto al Sud per spiegare che la sua ricetta per le regioni è miracolosa perché in grado di risolvere vecchi, nuovi e futuri malanni e tale da indirizzare fiumi di denaro pubblico (che in realtà non ci sono) verso le regioni meridionali e insulari. Ha tentato di tutto per convincere i dubbiosi, arrivando persino a dichiarare che chi non vuole cogliere la sfida dell’autonomia differenziata deve assumersi “la responsabilità di questa scelta se nel frattempo chi ha richiesto l’autonomia poi dovesse migliorare”. È difficile dire se questo pietire il consenso abbia portato risultati. La sensazione è che abbia ricevuto soltanto una benevole accoglienza.

La Lega sa che la sua proposta è minoritaria. Per questo ha forzato, ad esempio, procedure e consuetudini nella Conferenza delle Regioni, che è l’organo di coordinamento che consente alle Regioni di concordare posizioni comuni nei confronti di proposte di legge e indirizzi governativi. Per consuetudine le posizioni devono essere condivise da tutte le Regioni per garantire giustamente a tutte la propria specificità e rappresentanza. Invece nel caso del ddl Calderoli, il parere nella Conferenza, coordinata dal Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia (Lega), è stato espresso a maggioranza con il voto contrario di Emilia Romagna, Toscana, Campania e Puglia. È avvenuto così che un organo di coordinamento e garanzia delle Regioni è stato piegato alle esigenze dei partiti, come non era mai successo in passato, su uno dei temi più rilevanti per il futuro delle Regioni. Purtroppo è ormai una costante dell’azione della destra alla quale evidentemente non bisogna assuefarsi!