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SERBIA E KOSOVO AI FERRI CORTI. UNA NUOVA POSSIBILE CRISI NEL CUORE DELL’EUROPA.

“La Serbia – dice l’aurore- non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo (del resto proclamata unilateralmente nel 2008), che viene pertanto reclamato tuttora come proprio territorio. Non per caso, né Mosca né Pechino hanno mai riconosciuto la repubblica kosovara ed è adesso per loro assai facile e redditizio soffiare sul fuoco del latente e mai sopito nazionalismo serbo. E accennare ad analogie col Donbass potrà aiutare allo scopo”.

Una nuova nube scura si addensa sull’Europa. È sopra i Balcani, area geografica da sempre travagliata e ricca di tensioni a volte tramutatesi in scontri armati devastanti. Ovviamente concentrati sulla guerra in Ucraina ce ne siamo accorti solo pochi giorni fa, come effetto della “guerra delle targhe” fra Serbia e Kosovo. In breve, Belgrado non accetta sul suo territorio veicoli con targa kosovara. Misura che ora adotterà anche Pristina (per alleviare la tensione immediatamente creatasi alla frontiera, il provvedimento è stato posticipato di un mese): gli automezzi serbi che entreranno in Kosovo dovranno essere muniti di una specifica documentazione, valevole tre mesi, fornita dalle autorità kosovare.  Potrebbe sembrare un gioco di ripicche e punzecchiature reciproche se non fosse per lo scenario complessivo, tutt’altro che sereno.

Il Kosovo confina a sud con la Macedonia del Nord, a ovest con l’Albania e il Montenegro, a nord e a est con la Serbia. La zona settentrionale del paese è abitata da una popolazione in maggioranza serba. Che Belgrado vuole tutelare in quanto – a suo dire – discriminata dalle autorità kosovare. Speriamo un giorno di non dover imparare i nomi dei comuni di quest’area geografica, perché le similitudini col Donbass sono invero diverse. Inclusa qualche voce ipernazionalista serba che invoca una futura “denazificazione” di quelle aree e più in generale dell’intero Kosovo. Lo stesso presidente serbo Aleksandr Vucic è apparso in un video mostrando una t-shirt con stampigliata una mappa del Kosovo sormontata da una bandiera della Serbia, con ciò certamente non contribuendo ad un calo della tensione già alta di suo. Della quale non ha mancato di approfittare l’ineffabile Maria Zakharova (l’ormai celebre portavoce del Ministero degli Esteri russo), pronta ad accusare il governo di Pristina di voler attuare “regole discriminatorie e infondate” nei confronti della comunità serba del Paese.

La situazione non è ancora fuori controllo, ma è alquanto insidiosa. La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo (del resto proclamata unilateralmente nel 2008), che viene pertanto reclamato tuttora come proprio territorio. Non per caso, né Mosca né Pechino hanno mai riconosciuto la repubblica kosovara ed è adesso per loro assai facile e redditizio soffiare sul fuoco del latente e mai sopito nazionalismo serbo. E accennare ad analogie col Donbass potrà aiutare allo scopo.

Ecco perché l’Unione Europea, oggi assorbita dall’emergenza ucraina, dovrebbe porre più attenzione a tutta la questione balcanica. Un’area oggetto di un’attenzione insistita sia da parte cinese (quale transito verso nord delle merci che arrivano al porto del Pireo seguendo la rotta dellanuova Belt & Road marittima) sia da parte russa, essendo Mosca volta a recuperare consenso e simpatie anche identitarie (la cultura slava, la religione ortodossa) nella stessa Serbia, ma anche in Bosnia dove il capo della comunità serba, Milorad Dodik, sta sempre più frequentemente parlando della futura secessione della componente serba del Paese.

Il rischio di un incendio improvviso esiste. Purtroppo. Ma realisticamente bisogna considerare questa prospettiva. Ecco perché è importante parlarne ora, prima che sia troppo tardi.  

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