È inammissibile che la voglia di “fare coalizione”, essendo comunque forte l’esigenza legittima (ma oggi disordinata) di giustapporre una progetto alternativo a quello delle destre, istituendo paragoni tra l’accordo Pd-5 Stelle con l’alleanza politica sancita a suo tempo dall’Ulivo. Dalle parti del Nazareno ci si dovrebbe rendere conto della forzatura finanche grottesca.
Giorgio Merlo
Ma come si fa a paragonare l’Ulivo con una ipotetica alleanza tra il Partito Democratico e il partito di Beppe Grillo? Ma come è possibile confondere una bella, costruttiva ed esaltante stagione della politica italiana come quella dell’Ulivo con un periodo storico caratterizzato dal più spietato trasformismo politico e parlamentare? Faccio queste banali domande perchè qua e là si leggono riflessioni, peraltro legittime e degne di considerazione, che però confondono la politica – almeno come dovrebbe essere concepita e praticata – con la virtualità della politica. Perchè, appunto, confondere l’Ulivo e ciò che è stato e che ha rappresentato nella storia del riformismo nel nostro paese con l’alleanza organica con un partito come quello dei 5 stelle – leader incontrastato del populismo, del trasformismo, del giustizialismo e del “vaffanculismo” – ci vuole una creatività e una fantasia non comuni.
Per fermarsi all’Ulivo, ci sono almeno tre indicazioni che confermano l’impossibilità di avventurarsi con qualsiasi paragone.
Innanzitutto l’Ulivo era una coalizione che sommava partiti e movimenti con un preciso progetto politico e di governo. Una coalizione nata, appunto, attorno ad un’idea di governo di un paese che metteva insieme le migliori culture riformiste attorno a partiti radicati nel territorio ed espressione di una precisa cultura politica. L’Ulivo non era il prodotto di una decadente stagione trasformistica unita solo da un patto di potere contro qualcuno o qualcosa. Ma, al contrario, era una alleanza tra partiti riformisti eredi delle grandi tradizioni culturali del novecento. Che, come ovvio e scontato, non ha nulla a che vedere con il populismo verbale violento di Grillo o quello “dolce” di Conte.
In secondo luogo l’Ulivo coincise con la stagione del “ritorno della politica” e, soprattutto, della “speranza della politica”. Ma secondo voi, seriamente, c’è qualcuno in Italia che pensa che l’alleanza con Grillo, Toninelli, Bonafede, Taverna e via discorrendo coincida con il ritorno della politica? Almeno di quella politica che si riconosce nella tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale? O di altre culture riformiste e democratiche?
In ultimo, ma non per ordine di importanza, l’Ulivo si è caratterizzato anche e soprattutto per la qualità di larga parte della sua classe dirigente. Certo, è stata una stagione breve ma, comunque sia, intensa e profonda. Una classe dirigente preparata, competente e capace di affrontare le sfide di quel periodo storico dando risposte precise e pertinenti. Una classe dirigente realmente espressiva di una cultura politica e riconosciuta come tale dalla pubblica opinione. Altrochè “uno vale uno” e l’esaltazione della improvvisazione, della casualità e della inesperienza.
Ora, per concludere e senza infierire eccessivamente, sarebbe auspicabile che anche qualche dirigente Dem ci risparmiasse simili paragoni pur di mettere in piedi una coalizione “contro le destre”, il “rischio fascista”, il ritorno di un possibile clima “illiberale e dittatoriale” e via vagheggiando. Ognuno faccia le coalizioni che vuole, come ovvio, ma senza confondere il reale con il virtuale. Cioè, senza paragonare l’Ulivo con l’alleanza con il partito di Beppe Grillo.