Luigi Marattin è uno dei quei tanti parlamentari italiani che sono stati “nominati” dal capo partito. Nel caso specifico, dal capo di un partito personale, quello di Renzi. Ora, come a volte capita – seppur raramente – il “nominato” ad un certo punto rinnega il capo e, di norma, viene indirettamente, ma gentilmente invitato ad andarsene dal partito. Anche perché, appunto, nei partiti personali la base deve semplicemente applaudire il verbo del capo mentre chi dissente, come si suol dire, deve andare “a cantare in un altro cortile”.
Ma, per tornare a Marattin, da tempo ci spiega che, giustamente, si deve superare la radicalizzazione della lotta politica nel nostro paese e questo perché l’attuale bipolarismo non è né utile e neanche più funzionale per dare stabilità e rappresentatività al sistema politico italiano.
Da qui, dice il Nostro, si deve lavorare per “rifare un partito liberal democratico”. E quindi dar vita ad un partito di centro che esprima quei valori e quella progettualità che non collimano affatto con chi concepisce la politica come un’eterna e strutturale contrapposizione tra gli opposti schieramenti che hanno come unico ed esclusivo obiettivo quello di annientare e distruggere definitivamente il nemico politico giurato.
Ora, senza approfondire ulteriormente il progetto di questo Marattin, almeno su due questioni è bene richiamare l’attenzione. Innanzitutto Marattin adesso ricorda che i “partiti personali vanno definitivamente superati” perché i partiti devono essere, appunto, democratici e collegiali. E sin qui tutto bene. Peccato che Marattin scopra con un pizzico di ritardo questa profonda degenerazione della democrazia italiana. E questo perché il punto più squallido e meno nobile, per la qualità della democrazia, dei partiti personali è quando vengono compilate le liste elettorali. Cioè quando il capo del partito personale “nomina” i suoi adepti. In quelle occasioni Marattin, purtroppo, non s’è accorto di nulla e tutto filava liscio. “Tutto va bene, madama la marchesa”.
In secondo luogo, e qui non centra più il metodo ma il merito politico, Marattin dimentica – forse con un deficit eccessivo di memoria storica o per una disinvolta capriola politica – che il Centro, o un luogo politico centrista o liberal democratico, non è politicamente credibile né realisticamente percorribile senza la presenza attiva e feconda del pensiero, della cultura e della traslazione del cattolicesimo popolare sociale. E questo non solo per ragioni politiche e culturali storiche ma per motivazioni che rispecchiano l’identità stessa del nostro paese e il cammino concreto della democrazia italiana. Senza la presenza di questa cultura politica, un potenziale centro nel nostro paese si riduce ad essere di matrice puramente tecnocratica, alto borghese ed aristocratica, oppure è destinato a replicare piccoli – seppur significativi – esperimenti politici ed elettorali. E cioè, per essere ancora più chiari, la riproposizione in miniatura di un piccolo partito liberale, o repubblicano o tardo azionista.
Ecco perché, anche per chi si accorge oggi che esistono i partiti personali e per chi pensa di voler mettere in piedi una iniziativa politica vagamente centrista, forse è il momento decisivo per non dimenticare tutto il passato. Sia quello più recente dell’esistenza dei partiti personali e sia quello più antico, ma sempre moderno ed attuale, del ruolo e della presenza della cultura e della tradizione del cattolicesimo popolare e sociale per la costruzione di un progetto politico centrista, di governo, moderato e profondamente democratico.