Il New deal trumpiano sembra amare le vie spicce e non perdersi nei meandri della diplomazia e del suo procedere tra il detto e il non detto. Esportare la democrazia è un must che suona di polvere, ragnatele del secolo scorso che non hanno più ragione d’essere.
Gli aiuti all’Ucraina non sono così da intendersi a titolo gratuito ma hanno un prezzo che deve notarilmente saldato. Il costo dell’impegno a sostegno di Zelensky è quantificato in 500 miliardi di dollari che si traducono nella cessione di terre rare e preziose di minerali che fanno gola al Presidente Trump.
“Ccá ‘e pezz e ccá ‘o sapone” che si declina nel monito di come non si faccia “credito a nessuno” è la legge imperante di questi tempi. Da sempre il sostegno di ogni super potenza verso un paese amico ha significato un corrispondente trattamento di favore e di riconoscenza, persino di subordinazione, verso chi ti ha teso una mano in un momento di difficoltà. Alla cruenza e schiettezza di oggi non si era mai arrivati tanto esplicitamente. Almeno in apparenza, la dignità di uno Stato non era mai stata messa in discussione.
Ci sono parole che si prestano ad una lettura doppia ed ambigua. “Interesse” è un prendersi cura di qualcuno, usargli premura in modo di assicurargli ogni bene. È insomma un moto del cuore che contrasta con quanto invece da pagare per un prestito che è stato concesso e che talvolta sfocia in strozzinaggio.
La pratica attuale della politica internazionale risponde evidentemente ad un eccesso di realismo o toglie di mezzo l’ipocrisia di certe relazioni, scrostando la patina di certe indorature che fanno perdere tempo e non hanno ragione d’essere.
È ora di togliere di mezzo la velatura che nasconde i fatti per come stanno. “Ricorsi alla … mia padrona di casa per un poco di patina da lustrarmi gli stivali” scriveva Nievo. Adesso, i cow boy d’oltre oceano non sembrano aver bisogno di alcuna lustratura di bellezza, vanno al sodo della questione senza troppi preamboli. Nulla è gratis e nulla ha bisogno di grazie e benevolenze.
Gli Usa sembrano aver trovato improvviso slancio verso il gioco del Monopoli. Si acquistano proprietà con una partita a dadi ricca di risolutezza e di azzardi. Si cambia il nome al Golfo del Messico in Golfo d’America e si vuole comprare la Groenlandia anche se non è sul mercato. Allo stato, quella enorme distesa di ghiaccio è territorio autonomo della Danimarca, che in passato vendette le Isole Vergini allo zio d’America che nel tempo addietro acquistò anche la Louisiana dalla Francia e l’Alaska dalla Russia. Quella della Groenlandia potrebbe essere un’operazione che gronda del potere dei soldi e della minaccia di inimicizia, ma non importa. L’importante è assicurarsi le ricchezze minerarie di quei ghiacci e il presidio geostrategico dell’area.
C’è in atto una fibrillazione che descrive nuove ipotesi di mondo, cartine planetarie da modificare, altri golfi e insenature da riperimetrare, nulla a che vedere con il golfo mistico, la buca in cui opera un direttore d’orchestra.
La terra corre il rischio di ingolfarsi mentre Trump gioca a golf in una delle sue residenze progettando di cambiare l’assetto del mondo. Gli Usa ora si muovono con la logica degli affari a cui la politica va solo a ricasco, vanno alla sostanza delle questioni, senza fronzoli e aggettivi da aggiungere alla essenzialità dei sostantivi in campo.
Anche la guerra suona di strano. I latini la chiamavano “bellum” mentre “bellus” indicava al contrario ciò che era grazioso e piacevole. Talvolta il cambio di una sola consonante cambia radicalmente il senso delle cose. Si tratta di mettersi d’accordo sui confini, di avere forse un fine comune tra gli uomini in modo che nessuno sia spedito al confino o deportato da qualche parte del globo.
Siamo caduti in un’epoca di scambi e di baratti di terre più che di figurine, la pace tra Ucraina e Russia si risolverà anche in questo. Anche Gaza fa parte del gioco. Così, ogni esercito di salvezza o di liberazione dovrà più realisticamente essere chiamato di mercenari. Pago il tuo soccorso e finiamo la storia.
Aveva ragione Flaiano quando diceva di quello che “ha una tale sfiducia nel futuro che fa i suoi progetti per il passato”: o quando, per parte sua, era solito dire “non chiedetemi dove andremo a finire, perché già ci siamo”. Neanche Sanremo e la musica ci vengono in consolazione. “La verità ti fa male, lo so”.