Man mano che ci si avvicina alle elezioni nazionali si chiarisce anche il profilo politico, culturale e programmatico delle rispettive coalizioni. Se nel campo della maggioranza di governo la situazione è in divenire anche se sufficientemente chiara per quanto riguarda la natura e la stessa identità politica della coalizione, è nel campo della sinistra che sono emerse novità che non possono e non devono essere sottovalutate. Anche per il profondo cambiamento che ha assunto la storica alleanza di centro sinistra. E, sotto questo versante, ci sono almeno tre elementi che hanno portato chiarezza e anche coerenza proprio sotto il versante politico, culturale, sociale e programmatico.
Innanzitutto si tratta di una coalizione di sinistra e non più di centro sinistra. Un fatto noto e scontato riconducibile ai tre azionisti principali ed esclusivi di questa alleanza. E cioè, la sinistra radical/massimalista della Schlein, la sinistra populista e demagogica dei 5 Stelle e la sinistra estremista e ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. Il tutto, come la vicenda referendaria ha persin platealmente confermato, sotto lo stretto controllo politico ed organizzativo del capo della Cgil Landini. Un format diverso, molto diverso, dal tradizionale centro sinistra che abbiamo conosciuto e sperimentato nel passato.
In secondo luogo l’irrilevanza e l’inconsistenza dell’apporto centrista e di tutto ciò che è seppur solo lontanamente riconducibile alla cosiddetta “politica di centro” nel nuovo progetto. Certo, è encomiabile lo sforzo del capo di Italia Viva, Renzi, di dover insultare a giorni alterni il Presidente del Consiglio per poter essere accreditato presso gli azionisti principali della coalizione. E neanche con questo stillicidio ormai quasi quotidiano di attacchi personali riesce a rimuovere del tutto le pregiudiziali nei suoi confronti e del suo partito personale. Ma, al di là di questo fatto personale, è indubbio che la cultura politica centrista – di qualsiasi orientamento culturale sia – non ha alcuna cittadinanza all’interno di quella coalizione così com’è oggi disegnata.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, si è delineato un blocco politico, sociale, culturale e forse anche etico che ha indubbiamente contribuito a fare chiarezza nella dialettica politica italiana. Certo, la leadership indiscussa all’interno del Pd di Elly Schlein è stata decisiva nel condizionare il “nuovo corso” politico e progettuale del Partito democratico, il principale partito della sinistra italiana. Un partito che non ha più nulla a che vedere con le sue ragioni originare e fondative – si pensi solo al manifesto di Veltroni nel lontano 2007 al Lingotto di Torino o al ruolo di
Franco Marini e di molti altri cattolici popolari e sociali all’interno di quel soggetto politico nel passato per rendersene conto – e nè, tantomeno, con un profilo politico di centro sinistra vero ed organico. Del resto, non si può neanche pretendere che il tutto resti sempre fedele e coerente con il progetto originario di un’avventura politica.
Comunque sia, e al di là di ogni altra considerazione, è indubbio che il confronto politico nel nostro paese è, oggi, forse più chiaro che nel passato recente e meno recente. Pur sempre condizionato dalle novità che di volta si volta si possono affacciare. Ma oggi, e per fermarsi al campo della sinistra, non possiamo non registrare che ci troviamo di fronte ad una coalizione – che sulla carta è molto competitiva – chiaramente e coerentemente progressista. Guidata da tre forze politiche che hanno una forte convergenza culturale e valoriale e che, soprattutto, rappresentano un cartello elettorale ben chiaro nella società italiana. Lo potremmo definire, mutatis mutandis, il nuovo Pci degli anni duemila. Per il suo profilo politico, per le sue radici culturali, per i suoi richiami valoriali e anche, e soprattutto, per il suo consenso elettorale.