La “Rete di Trieste”, nata in Italia dopo la 50ª Settimana Sociale cattolica tenutasi in quella storica città, si propone come laboratorio concreto di dialogo tra amministratori locali di diverso orientamento politico, accomunati da un riferimento condiviso alla Dottrina sociale della Chiesa, centrata sulla persona in relazione, e alla Costituzione italiana come bussola civile.
Era da tempo che riflettevo sulla necessità di ripensare completamente le categorie storiche di destra, sinistra e centro. Per questo mi ha colpito la proposta di far dialogare un sindaco di Fratelli d’Italia o della Lega con uno del Partito Democratico, o con un consigliere comunale del Movimento Cinque Stelle. Questa intuizione mi ha fatto tornare alla mente la distinzione tra “comunità” e “società”, studiata dal sociologo Ferdinand Tönnies già alla fine dell’Ottocento. E mi ha fatto riflettere anche sull’importanza del prepolitico e del prepartitico. O, forse meglio: del postpolitico e del postpartitico.
Una democrazia che riparte dai legami comunitari
In un clima attraversato da “sacrosante” identità inviolabili, rivendicazioni di autonomie regionali e nazionali, gelosie personalistiche e da una crescente affermazione dell’“io” sul “noi”, tentare di ricucire un tessuto dialogico tra posizioni differenti è un’impresa tutt’altro che semplice.
Le finalità della Rete sono chiare: promuovere, soprattutto tra i giovani, una partecipazione democratica nuova, centrata sul bene comune, sulla cura del creato, sulla transizione ecologica e su un welfare territoriale generativo e inclusivo.
Si tratta, in sostanza, di coltivare un dialogo reale tra persone e comunità anche molto diverse, partendo dalla dimensione più prossima e umana – quella civica, comunale, territoriale – per giungere a una nuova visione culturale e politica a livello nazionale ed europeo. Proprio in questa direzione la Rete di Trieste può ambire a rilanciare l’idea di un’Europa politica, unita anche nelle sue differenze: una “Camaldoli europea” da tempo dimenticata.
Contro le derive postdemocratiche
Tutto questo, a ben vedere, ha il sapore dell’utopia. Eppure, proprio in un tempo in cui miti identitari, nazionalismi e sovranismi sembrano rinvigorirsi, il sogno di una democrazia dialogante assume valore concreto e necessario. La Rete di Trieste potrebbe rappresentare, in questo senso, un modello antropologicamente “dispotico”: capace cioè di contrapporre alla passività collettiva un’unità possibile tra diversi, per non soccombere ai giochi dei tycoon, al capitalismo finanziario e tecnologico, e alle nuove espansioni imperiali del nostro tempo.
Non ho mai creduto che le grandi trasformazioni che ci attendono possano essere affrontate con ricette ideologiche preconfezionate di destra, sinistra o centro, magari cucite su misura del leader di turno.
Sul protagonismo dei cittadini, invece, esistono esperienze precedenti da richiamare. Il “bilancio partecipativo” sperimentato a Porto Alegre – e ripreso anche in alcune città italiane – ne è un esempio significativo. Ma ciò che sostiene in profondità questa Rete è, soprattutto, la potente metafora evocata da papa Francesco durante la pandemia: siamo tutti sulla stessa barca. È una visione che va oltre la crisi sanitaria e si proietta sull’enciclica Fratelli tutti, offrendo un orizzonte di collaborazione senza distinzioni, essenziale per i tempi che verranno.
Le barchette solitarie
Nel capitolo quinto dell’enciclica, al paragrafo 154, leggiamo: «Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune…».
Dobbiamo però riconoscere che la crisi della democrazia, oggi, ci ha trovati impreparati. E quella “unica barca” evocata dal Papa si è spezzettata in una miriade di barchette dissimili, disuguali, spesso incapaci di accogliere. Barchette solitarie, figlie di un individualismo esasperato e di una disintermediazione crescente. Barchette personalizzate, talvolta perfino con i chiodi ai lati per impedire a chiunque di salirvi.