Dove nasce il problema
La legge Delrio, per espressa indicazione del legislatore, era una disciplina transitoria: avrebbe dovuto fungere da “ponte” tra il previgente sistema di organizzazione degli enti locali e quello che sarebbe conseguito al procedimento di revisione costituzionale, avviato con il disegno di legge costituzionale “Boschi-Renzi”, poi respinto dagli italiani in sede referendaria.
La formulazione dell’attuale articolo 114 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 1 e 5, che definisce le province come enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni, finisce per rappresentare un ostacolo non facilmente aggirabile. Infatti, se il modello di elezione (diretta, o di secondo grado, dei titolari degli organi di governo) non appare formalmente vincolato dalla Costituzione (Corte costituzionale. sentenza n. 50/2015), è però certo che le province sono configurate come enti “rappresentativi” delle popolazioni locali, e non come enti espressione “associativa” dei comuni.
La natura giuridica
Il mancato “colpo di spugna” costituzionale non è rimasto ininfluente e non solo perché il legislatore è stato costretto a mantenere in vita l’intelaiatura istituzionale delle province, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di spesa pubblica, ma anche per i riflessi sulla natura giuridica del nuovo ente intermedio.
La nuova provincia, infatti, avvicinandosi più a un modello di autonomia funzionale e strumentale (al pari della camera di commercio), presenta solo due tipi di autonomia, quella amministrativa e quella finanziaria, risultando sprovvista della terza, quella politica, di cui sono invece dotati gli enti ad “autonomia” costituzionalmente protetta. Nell’assetto delineato dalla riforma “Delrio”, la vocazione della provincia è diventata essenzialmente, se non esclusivamente, tecnica e funzionale: la disponibilità delle funzioni fa sì che il suo scopo non sia più quello di rappresentare l’identità politica di una comunità territoriale di area vasta, ma quello di offrire un supporto e un coordinamento ai comuni del territorio o un punto di caduta razionale di competenze regionali. È così scivolata fuori dal circuito della “sovranità” consacrato negli articoli 5 e 114 della Costituzione, per rispondere esclusivamente a esigenze organizzative di buon andamento e di più razionale gestione delle funzioni amministrative, anch’esse peraltro sensibilmente ridotte rispetto al passato.
La funzione impositiva
La legge di riforma Delrio non ha tenuto conto che le funzioni amministrative di tipo impositivo non possono essere esercitate da un ente sprovvisto dello status di ente territoriale di governo, cioè di ente “per antica dottrina sede propria di policentrismo autonomistico o, come si dice oggi, di federalismo” (Consiglio di giustizia amministrativa, sent. n. 48/2009). Il soggetto attivo del rapporto tributario (sia in relazione all’an che in relazione al quantum) non può che essere un ente pubblico dotato dello specifico imperium (potestà impositiva); potere che deve essere necessariamente esercitato dagli organi elettivi, secondo le procedure democratiche e non mediante delega a soggetti consortili, o associativi, quali sono i nuovi enti intermedi, politicamente irresponsabili verso gli elettori perché sprovvisti di autonomia politica.
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