Suggestione Severino per i macigni del nostro tempo che rotolano disgregandosi

Riflessioni minime a tre anni dalla scomparsa del filosofo Emanuele Severino. Nel suo pensiero fa presa la convinzione che il dominio della tecnica sulla filosofia è in grado di dissolvere tutte le ideologie.

Ai piedi del gigantesco costrutto pluri-ideologico eretto fino alla fine del 900 siede un’umanità stanca e confusa: la globalizzazione ha come avvolto in un limbo polveroso i frantumi dei colossali macigni culturali che lottando tra loro rotolano a valle disgregandosi. A tre anni dalla sua scomparsa possiamo spiegare il presente utilizzando la potente metafora del filosofo Emanuele Severino: cristianesimo, islam, capitalismo, comunismo, democrazia sono i massi giganteschi in perenne conflitto, attirati a scontrarsi come in un cumulo di macerie dalla forza di gravità che ne annulla la forza reciprocamente dirompente. Un gioco di ruolo e di compresenze – si badi bene – deprivato da tassonomie etiche.

Il dominio della tecnica sulla filosofia è in grado di dissolvere tutte le ideologie: secondo Severino la tecnica “è un gigante capace di toccare il cielo con un dito”, mentre i suoi cascami penetrano la dimensione antropologica fino al suo midollo ontologico, l’essere si confonde con l’esistere, l’attendismo del rimando e il nichilismo di una condizione esistenziale svuotata da motivazioni forti ci rendono angosciati e insoddisfatti, sotto il peso di pericoli incombenti, fino al nulla estremo di un indefinibile ‘cupio dissolvi’.

L’attimo è la nuova dimensione temporale prevalente: in un attimo premendo un pulsante si può polverizzare il pianeta con la distruzione nucleare, in un istante – per incoscienza o lucida follia- si può disporre della vita propria e altrui, in un nanosecondo i virus mutanti ci rendono vulnerabili alle pandemie inarrestabili. La sostenibilità tra uomo e natura, quella demografica e generazionale e l’equilibrio che, tra le mille difficoltà che stanno nelle cose e le resistenze e le inquietudini interiori, potrebbero condurci bene o male ad un approdo stabile stanno lentamente dissolvendo le rassicuranti certezze che abbiamo faticosamente conquistato. Da qualunque visuale prospettica si osservi il pianeta e la sua umanità in costante e incontrollata crescita si percepiscono, in prevalenza, i conflitti e le diaspore che il relativismo etico non ricompone ad unità: la tecnica ha preso il sopravvento sulle idee, al massimo le ha sostituite con effimere opinioni ma si avverte l’assenza di una razionalità estesa che restituisca all’uomo e al suo pensiero il possesso e il sicuro dominio delle vie da imboccare e la consapevolezza del bene comune da preservare: sono questi  i valori che nobilitano l’uomo e la vita.

Con malcelato eufemismo si discetta di intercultura e convivenza ben sapendo che esse si riducono ad assumere una valenza sommativa: non esiste una dimensione unanimemente condivisa poiché essa si realizzerebbe solo sotto il controllo ferreo di una sola superpotenza economica e militare, ciò che esprime il contrario della libertà e delle soggettività dilaganti. Si tratta dunque piuttosto di una dimensione multi-culturale compresente storicamente ma in perenne conflitto.

Per questo le dittature hanno mire espansive illimitate ed è per tale motivo – come mi ha evidenziato il Prof. Vittorio E. Parsi – che “la difesa della democrazia domestica passa attraverso la leadership delle democrazie nel mondo”.

Ciò che sta accadendo in questo primo quarto di secolo può diventare la radicale, totalitaria, irreversibile negazione di un percorso storico iniziato a fine settecento e conclusosi dopo l’ultimo dopoguerra: il progressivo, lento, configurarsi di un ordine mondiale fondato sulla pluralità delle culture e delle loro differenti radici storiche, successivamente sul consolidarsi del principio dell’identità nazionale e delle relazioni internazionali in un quadro di rassicuranti certezze e di rispetto del principio dell’autodeterminazione dei popoli che solo il delirio di onnipotenza e la violazione delle libertà individuai e sociali possono comprimere fino alla distruzione.

La soccombenza dell’individuo si realizza attraverso la negazione dei diritti soggettivi inalienabili, l’umiliazione delle diversità, le identità di genere, mentre la soccombenza di un popolo – con la disponibilità di armi distruttive che annientano le domestiche, inoffensive quotidianità- ha le sembianze di un rinnovato Olocausto che riporta indietro le lancette di quella Storia che ci eravamo ripromessi di non rivivere ma che si ripresenta sotto mentite spoglie – tempora mutantur et nos mutamur in illis– con rinnovato e mutevole delirio e inaccettabile oblio, in una coscienza collettiva ora consapevole e partecipe, ora preclusa e indifferente.