Piero Ignazi
Da molti anni in America si discute della crescente polarizzazione della politica. Un fenomeno che coinvolge in maniera più o meno accentuata molti Paesi. Ma anche in Italia assistiamo a una polarizzazione del conflitto? Per orientarsi su questo aspetto è opportuno rivolgersi, ancora una volta, a Giovanni Sartori, uno dei massimi politologi del Novecento. Sartori introdusse negli anni Sessanta una classificazione dei sistemi di partito destinata a diventare il riferimento per tutta la letteratura mondiale sul tema; e, per quanto il suo schema abbia valore generale, in alcune sue parti è ispirato dal caso italiano.
In quegli anni il nostro sistema partitico era caratterizzato dalla presenza di molti partiti, con un grande partito collocato al centro – la Democrazia cristiana – che rimaneva sempre al governo grazie al sostengo di un numero variabile ma ben definito di quattro piccoli alleati. La stabilità dipendeva dal fatto che, alla destra e alla sinistra delle coalizioni di governo, vi erano delle opposizioni “irresponsabili”, vale a dire, nella terminologia sartoriana, portatrici di valori e ideologie incompatibili con i fondamenti del sistema costituzionale. Il Partito comunista e i neofascisti del Movimento sociale, collocati ai poli estremi di sinistra e di destra, costituivano opposizioni ideologicamente inconciliabili con il sistema politico; inoltre la loro politica, sia a livello visibile sia invisibile (cioè attraverso messaggi subliminali o coperti all’interno delle rispettive organizzazioni), puntava a delegittimare il sistema. In estrema sintesi, queste caratteristiche configurano il celebre pluralismo polarizzato.
Ma in che cosa consisteva esattamente la polarizzazione? Sartori utilizza due indicatori per individuarla: la temperatura e la distanza ideologica. Il primo indicatore rimanda a quanto sia aspro e ultimativo il conflitto tra i partiti, a quanto alta sia la febbre ideologica. Il secondo segnala la distanza empiricamente misurabile tra i partiti: più precisamente, quanto siano distanti i partiti estremi su una scala destra-sinistra dove 10 è il valore massimo di destra e 0 quello massimo di sinistra (o viceversa). La posizione di un partito su questa scala destra-sinistra è desunta dalle risposte che forniscono i cittadini che si identificano con quel partito, i quali gli attribuiscono un determinato valore. In tal modo ogni partito ha un suo punteggio. I sistemi scarsamente polarizzati hanno una distanza ridotta tra quello più a destra e quello più a sinistra. Quelli polarizzati mostrano invece un grande divario.
In Italia, da quando si operano queste indagini, il gap tra l’estrema destra e l’estrema sinistra è sempre stato altissimo. E questo non solo nel corso della cosiddetta Prima Repubblica, quando si votava con il proporzionale: anche dopo il 1994, quando si è votato con sistemi più o meno maggioritari. In alcuni anni la distanza si è poi un po’ accorciata, salvo impennarsi di nuovo soprattutto nelle ultime elezioni, dove i tre partiti di destra sono concentrati, con poca differenza tra l’uno e l’altro, intorno al valore 9 su 10 della scala destra-sinistra.
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