L’Alta Corte di Allahabad nell’Uttar Pradesh (India) venerdì scorso ha dichiarato incostituzionale il Madrasa Act del 2004 e ha ordinato al governo statale di spostare gli studenti iscritti al “sistema islamico” nelle scuole tradizionali.
Il distretto in questione è governato dal partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP) del primo ministro Narendra Modi e negli ultimi dieci anni ha fatto notizia per aver approvato alcune delle leggi più controverse del Paese, leggi che discriminerebbero i musulmani emarginandoli nella repubblica laica.
Le madrase, attualmente, forniscono un sistema educativo in cui agli studenti vengono insegnati il Corano e la storia islamica insieme a materie generali come matematica e scienze. Esiste anche a un sistema equivalente per gli indù, noto come Gurukuls, istituti di istruzione residenziale in cui gli studenti imparano le antiche scritture vediche insieme a materie generali sotto la guida di un “guru” o insegnante.
Non è la prima normativa controversa in India.
Nel 2019, tra violenti scontri di piazza, il Parlamento ha approvato una normativa che esclude di fatto i fedeli di religione islamica dalle regolarizzazioni concesse ad altri migranti illegali. Il cosidetto Citizenship Amendment Act che lunedì 11 marzo il Governo indiano ha deciso di attuare e che di fatto accelera le richieste di cittadinanza indiana di indù, parsi, sikh, buddisti, giainisti e cristiani fuggiti in India dalle persecuzioni religiose in Afghanistan, Bangladesh e Pakistan, rendendoli idonei a compiere la loro richiesta di documenti a cinque anni dal loro arrivo nel Paese. Prima della sua applicazione, la religione non rappresentava un fattore determinante per permettere ai migranti di ottenere un passaporto indiano e tutti coloro che lo richiedevano dovevano attendere undici anni prima di avviare le pratiche.
Quando nel 2002 una serie di disordini tra comunità religiose sconvolse lo Stato del Gujarat, l’allora governatore Modi non si mosse mentre più di mille musulmani venivano uccisi da orde di indù inferociti.
Il centro di ricerca India Hate Lab ha documentato una media di due eventi di incitamento all’odio nei confronti dei musulmani al giorno in tutto il Paese. Il 75% di essi si è verificato negli Stati federali governati dal partito del premier Modi.
Ma non solo i mussulmani vivono con la paura della repressione. A Settembre dello scorso anno il governo canadese ha accusato “agenti del governo dell’India” di un coinvolgimento nell’omicidio a giugno di Hardeep Singh Nijjar, leader sikh canadese. Nijjar era uno dei principali sostenitori del movimento separatista sikh per la fondazione del Khalistan come stato sovrano che secondo il movimento dovrebbe sorgere nel Punjab, regione indiana al confine col Pakistan (secondo una parte del movimento lo stato dovrebbe includere anche il Punjab pakistano).
Inoltre, si registrano in India centinaia di attacchi ai danni dei cristiani, senza alcuna reazione da parte delle forze di polizia. Ora il BJP nega di discriminare i musulmani, o chiunque altro, e afferma di trattare tutti i cittadini allo stesso modo. Anche se già nel nome il partito politico di Modi, Bharatiya Janata Party (BJP), il Partito del Popolo di Bharat, altro non è che il Partito del Popolo Indù. Nulla a che vedere con gli insegnamenti di Gandhi che disse: “Nessuna cultura può vivere se cerca di essere esclusiva”