A proposito del libro «La sinistra sociale» di Giorgio Merlo

Se la politica è senza pensiero (e lo è) allora l’urgenza è trovarlo. Questo è il titolo dell’articolo che qui, per gentile concessione, riportiamo integralmente, così come pubblicato ieri sull’Osservatore Romano.

Talvolta le riflessioni conclusive di un percorso mentale e di vita si rivelano essere in realtà (in qualche caso troppo tardi) la necessaria premessa, addirittura l’obiettivo sino ad allora nascosto. Scriveva per esempio Carlo Donat-Cattin: «Senza il recupero civile di vessilli morali e trascinanti (…) costruiremmo ogni giorno un fantasma nel vuoto».

Parole che il leader della corrente della Democrazia Cristiana “Forze Nuove” espresse in occasione di un libro intervista del 1980, intitolato “La mia Dc”. A ricordarle è in questo caso Giorgio Merlo, suo libro “La sinistra sociale” (Marcianum, Venezia, pagine 224, curo 19), che include anche una prefazione dell’arcivescovo Vincenzo Paglia.

Fantasmi, dunque. La dimensione dell’impalpabile parrebbe, in effetti, quella che meglio si addice al dibattito sull’impegno dei cattolici in politica, tanto in riferimento alle proposte per il futuro quanto all’effettiva capacita di incidere di questi ultimi, a partire dalla fine della Democrazia Cristiana fino nostri giorni.

Eppure, scrive il presule nelle pagine iniziali del libro, oggi, quando ci troviamo «in un passaggio della storia analogo a quello del dopoguerrа», le condizioni per una nuova presenza dei cattolici in politica, ci sarebbero. A patto di riscoprire e di valorizzare, sostiene

Merlo, gia deputato del Partito Democratico e attualmente sindaco di Pragelato (TO) l’esperienza della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana, di cui l’autore del libro ripercorre la storia anche attraverso l’azione dei suoi esponenti, dal già citato Do-nat-Cattin a Franco Marini, passando per Guido Bodrato , Sandro Fontana, Ermanno Gorrieri. Un’azione inquadrata a sua volta in un contesto storico particolare, che non ne fa però una semplice vestigia del passato ma anzi un modello da recuperare, per ispirazione e metodo. Si parla dunque di una “sinistra sociale” che si era costruita intorno a tre elementi fondamentali: «una forte e vissuta ispirazione cristiana che per un verso arricchisce di significato etico e trascendente ogni azione politica e dall’altro la collega alla dottrina sociale»; un «radicamento nel mondo sociale e nel mondo del lavoro, ricavando dalle esigenze dei più deboli un progetto per l’intero paese»;

«l’irriducibile fedeltà al metodo democratico».

Un’esperienza importante e meritoria, con molti risultati di cui andare fieri e che, secondo

Merlo, va recuperata. Per evitare di parlare di fantasmi, bisogna però scendere nel concreto, a partire dalle persone. Scrive giustamente

Paglia:«Vanno bene le scuole di formazione socio-politica, ma non bastano. Va suscitato un movimento largo e plurale di riflessioni sul presente e sul futuro del Paese, dell’Europa e del pianeta». Merlo va più nello specifico: «Senza le munizioni che arrivano dal retroterra cattolico difficilmente un’esperienza come quella della “sinistra sociale” d’ispirazione cristiana può ridecollare nella cittadella politica italiana». Con una avvertenza: «Il solo impegno nel prepolitico, seppure importante e mai da sottovalutare, non può esaurire tutti gli spazi, le energie e la volontà dei cattolici che credono nell’impegno pubblico dei credenti». Secondo Merlo, in sintesi, c’è bisogno di un “par-

tito nazionale”, un «luogo politico con una cifra autenticamente riformista, un partito culturalmente plurale, una gestione interna ispirata a criteri rigorosamente democratici e una leadership diffusa». Accanto alla struttura, una nuova concezione dello Stato liberale, la riforma elettorale (in senso proporzionale), un programma innovativo di politica economico-sociale e di solidarietà internazionale.

Tutte cose non inedite, si potrebbe osservare. Legge elettorale a parte, sulla quale le opinioni si dividono con buone ragioni da una parte e dall’altra, alzi la mano chi non ha mai sentito un esponente di un partito di qualsiasi area dire che serve un nuovo programma economico e sociale, un nuovo Stato liberale, visto che le vecchie edizioni sono evidentemente superate, di una solidarictà internazionale anche come risposta alle emergenze sempre più di carattere globale. Merlo lo sa bene, e per questo chiude con la citata intervista di Donat-Cattin. Pa-rafrasando: senza valori, condivisi, non si va da nessuna parte.

E qui la questione diventa più complicata. E lo è sin dalle premesse, perché se l’ispirazione cattolica è l’assunto fondamentale, viene naturale chiedersi di quale cattolicesimo si parli, se di quello compiacente e organico al liberismo spudorato che ha caratterizzato la politica italiana della seconda Repubblica o di quello delle periferie, dei preti di strada, di quello che interloquisce sul piano etico con le domande di senso che vengono poste dalla società in maniera complessa e che richiedono risposte cristianamente adulte, articolate ed equilibrate, che anela a praticare, per dire, l’economia circolare di Francesco. Occorre, in buona sostanza, la presa di coscienza, senza sconti, del fatto che l’esperienza del cattolicesimo in politica, come lo conosciamo, non può prescindere dalle condizioni storiche in cui si è presentato, come pure lo stesso Merlo riconosce per poi superare il problema con un salto concettuale che forse andrebbe ulteriormente chiarito.

Il tema di una politica cattolica non può prescindere dal tema della crisi della Chiesa e del cattolicesimo. La politica italiana, dalla fine della Democrazia Cristiana in poi, ha trovato sponde plurime nel mondo cattolico perché il mondo cattolico si è rivelato, con giustificazioni a volte difficili da accettare, diviso, nella pratica pastorale, anche sui suoi stessi valori, a partire dalla declinazione concreta della sua dottrina sociale. Insomma, quando si parla di una nuova politica dei cattolici si deve necessariamente parlare di una nuova Chiesa e anche dell’influenza della politica al suo interno, tema ovviamente di una complessità tale da renderlo, qui, quasi proibitivo.

E a ben vedere non sarebbe sufficiente ncanche questo. Perché, se è chiaro il riferimento alla necessità del ritorno ad una politica sociale, l’analisi anche socio-cconomica del mondo di oggi è indispensabile per un discorso che sia realmente innovativo e praticabile. Le categorie non sono quelle di un tempo: nuove povertà non significa solo persone povere che prima non lo erano ma concetti del tutto nuovi di povertà in un mondo che nel giro di pochi anni può diventare irriconoscibile. Non è una differenza da poco: la destra e la sinistra (e condivisibile, per esempio, è l’affermazione di Merlo, solo in apparenza trascurabile, secondo cui Fratelli d’Italia è da considerare sotto l’aspetto sociale più a sinistra di Lega e Forza Italia) diventano anch’esse categorie vuote e con esse inadeguata la distinzione fra ciò che è sociale e ciò che non lo è.

Così come va analizzata, anche a costo di rivelare la propria provvisoria inadeguatezza, la questione del ruolo di intermediazione politica svolto dai partiti nell’epoca del “voto continuo”, quello cioè espresso dagli elettori quotidianamente con i loro comportamenti sulla rete, che non sfuggono ai sondaggi. Il concetto di “democrazia diretta”, che esiste ormai nei fatti, pure nelle sue storture, non può essere liquidata solo come l’argomento bislacco di populisti e di politici improvvisati: è un dato. E fa tutta la differenza del mondo. Contenuti, si dirà, di cui si potrà parlare, tra persone sensate. I cattolici (quasi sempre) lo sono. Ma si ritorna, fatalmente, all’inizio: viene prima la classe dirigente o vengono prima i “vessilli” (meglio i valori) morali? Pnma un partito o prima i contenuti (concreti, tangibili, non generici)? Soccorre un’altra considerazione, espressa da Paglia nella prefazione: “(oggi) la política è senza pensiero”. Trovarne uno, come esorta anche questo libro, è prioritario.