[…] È vitale per il nostro tempo (re)imparare a fare memoria, perché in sua assenza il cammino diviene un vagare senza una meta e senza una logica riconosciuta. Quante volte, pensando soprattutto ai drammi del cosiddetto “secolo breve”, si è pronunciata con enfasi la frase «Mai più!»? Eppure, ancora una volta ci siamo trovati a fare i conti con la sventura di una guerra in Europa!
La sfida di costruire il futuro non può prescindere dal recupero di questa capacità sapiente di fare memoria. Ma precisamente fare memoria di che cosa? Come ci ha ricordato papa Francesco, anzitutto del male, riconoscendolo, prendendo atto della sua gravità, ma anche sapendovi cogliere l’espressione della propria fragilità, come il popolo di Israele nel Deuteronomio. Quando si vive questo processo si è più attrezzati di fronte alle grandi possibilità del nostro tempo, che si accompagnano anche a grandi rischi, dei quali è necessario essere consapevoli e che in un recente passato sono divenuti realtà, sfigurando in un modo fino ad allora impensabile il volto dell’umanità. Gli sbagli possono essere evitati, soprattutto nel momento in cui ci si rende conto di averli già compiuti e di averne già assaggiato le amare conseguenze.
Ma per costruire il futuro non si può essere concentrati solo sul male, bisogna saper riconoscere e valorizzare anche il bene. La stessa Parola di Dio ci invita ad assumere una modalità a tutti gli effetti profetica di guardare alla realtà, che sappia intravvedervi in particolare i segni della presenza e dell’opera di Dio. Questo sguardo è ben diverso da quello dei grandi mezzi di informazione, tesi a considerare per ragioni di audience solo gli eventi che fanno più clamore, e, quindi, il più delle volte, gli eventi negativi.
Fare memoria del bene è un atto di speranza, che si radica nella convinzione che la storia degli uomini agli occhi di Dio non è perduta, ma è destinata a essere redenta. La storia, pur in mezzo a mille contraddizioni e tensioni, resta comunque quel terreno fecondo nel quale lo Spirito di Dio sta portando a compimento il suo disegno di salvezza. Come sottolineava con acume il card. Martini nella lettera pastorale Tre racconti dello Spirito: «Lo Spirito c’è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C’è e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi nodale della nostra epoca che è la perdita del senso dell’invisibile e del Trascendente, la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell’invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa».
[Questa è la parte finale dell’articolo pubblicato sul fascicolo n. 10 (ottobre 2023) della rivista dei gesuiti di Milano]