Alligna il malcostume delle correnti e nessuno se ne accorge…

Le radici sono profonde. Ora, il tema delle correnti nel Pd non ha un risvolto solo organizzativistico ma assume, adesso più che mai, una valenza decisamente politica. Per non dire anche etica.

Nel Pd, da sempre, aleggia una strana sensazione. Perché tra i molti misteri che allignano in quel partito ve n’è uno che merita di essere citato ed approfondito. Si tratta del ruolo delle correnti o dei gruppi o meglio delle bande organizzate che scorrazzano e che dominano nel partito sin dalle sue origini.

Dunque, il film è più o meno sempre lo stesso. Dalle Alpi agli Appennini, dal Trentino alla Sicilia. I gruppi interni organizzati – nulla a che vedere, come ovvio, con le storiche e qualificate correnti della Democrazia Cristiana – sono i veri padroni del partito. A tutti i livelli e in qualsiasi territorio. Non a caso prima ti riconosci in una banda o corrente interna e poi ti iscrivi al partito. Un format che non fa neanche più notizia talmente è nota la questione. E questi gruppi, come da copione e come tutti, ma proprio tutti, sanno, decidono candidature, organigrammi e nomine varie.

Ed è proprio in questo momento che subentra l’equivoco. Perché ogni segretario nazionale, di qualsiasi provenienza culturale sia e al di là di qualunque percorso politico abbia avuto nel passato, la prima solenne battaglia che annuncia è spietata ed irremovibile: lotta senza quartiere alle correnti, a questi grigi ed incolori centri di potere, alle loro ramificazioni clientelari ed affaristiche e a tutto ciò che anche solo lontanamente viene equiparato al correntismo esasperato.

Perché, e giustamente, tutto ciò non rientra nei canoni di una politica pensata, trasparente, credibile, elaborata e alta. E quando il segretario nazionale di turno assume questo solenne impegno nei vari consessi di partito, ogni corrente – per bocca del suo capo locale o nazionale – si associa in modo fervido se non addirittura aggressivo a questo impegno minacciando tutti che “si deve svoltare”, che d’ora in poi ci sarà “un nuovo inizio”, che la “discontinuità” è oramai alle porte e “che mai più si verificheranno comportamenti dettati ed ispirati al più bieco correntismo”.

Dopodiché, a riunione ultimata, il tavolo delle correnti e delle varie cordate si riunisce per procedere alla spartizione di turno e via discorrendo.

Ora, per evitare di continuare a descrivere una narrazione divertente ma alquanto triste e anche un po’ ipocrita, credo sia giunto il momento per invitare il più grande partito della sinistra italiana, cioè il Partito democratico, a sciogliere definitivamente il nodo. Ovvero, o il vertice nazionale ha la forza per azzerare definitivamente ed irreversibilmente il malcostume di un correntismo radicalmente estraneo alla politica, al suo radicamento sociale e territoriale e alla sua capacità di saper rappresentare pezzi di società, oppure si prenda atto – ma senza ulteriori ipocrisie – che il sistema Torino, tanto per citare l’ultimo degli esempi che è balzato all’onore delle cronache, non è un corpo estraneo nella vita quotidiana del partito ma, purtroppo, ne rappresenta quasi la regola.

Anche perché fanno sempre un po’ tenerezza i segretari locali di turno nel sottolineare che “il partito è del tutto estraneo a simili comportamenti” quando tutti sanno, o sapevano, che proprio quei comportamenti hanno purtroppo caratterizzato e accompagnato il partito per molto tempo.

Ecco perchè il tema delle correnti nel Pd non ha un risvolto solo organizzativistico ma assume, adesso più che mai, una valenza decisamente politica. Per non dire anche etica. Ma più che i solenni pronunciamenti, tutti formali e privi di qualsiasi conseguenza concreta, adesso devono parlare solo i fatti. Il resto è solo ipocrisia e presa in giro.