Il male è antico e ci vorrà tempo per non perdere contro di esso altre posizioni. Si è perso il senso della morte con tutte le conseguenze del caso. Morte viene dalla radice sanscrita “mar” che non è il nostro amare ma di cui è stata vittima “Amarena”, l’orsa uccisa in questi giorni in Abruzzo da un uomo determinato a difendere, sembra di capire, intrusioni indesiderate nella sua proprietà e nello specifico nel suo pollaio.
È sceso di casa con il suo fucile, impeto non da tutti; spaventato, alla vista dell’animale, ha fatto fuoco uccidendolo. Amarena è rimasta con l’amaro in bocca ed i polmoni trafitti dal proiettile, la comunità ha protestato con amarezza passando alle minacce verso l’uomo che ora avrebbe bisogno di una scorta. Di nuovo l’idea di violenza e di morte, da una parte e dall’altra, continua a incombere, costantemente chiamata in causa, come fosse qualcosa da prendere a volo ad ogni occasione, nulla di sconvolgente per cui scandalizzarsi.
Giorni prima ad Anagni una anonima capretta è stata uccisa gratuitamente, per gioco, da un gruppo di balordi, lordi di stupidità e cattiveria. Al netto di tutto resta una bavosa stria del male che non sembra arrestarsi. La bestia non aveva un nome ma ha fatto fede alla sua storia prestandosi ad essere il capro espiatorio di una violenza che non sapeva come sfogarsi. La comunità ha reagito mettendo alla pubblica gogna i nomi dei responsabili che così dovrebbero provare un po’ di vergogna. La capretta ha patito, maciullata di calci, l’agonia che è l’angoscia che precede la morte, che forse agognava perché il suo martirio si risolvesse in fretta.
Così continuando il nostro zoo resterà privo di presenze.Resta una certezza: ci si mobilita, per protesta, con una positiva vivezza che poi purtroppo tracima addirittura nella cruenza. Non si ricorda una pari emotività suscitata dalle centinaia di morti su un barcone zeppo di emigranti lasciato senza soccorso dalla Grecia non troppo tempo fa. Non si sono registrate consistenti mobilitazioni di sdegno per il fatto accaduto. Qualcosa, almeno tenuto conto delle proporzioni, non gira.
Per Epicuro il male è per mano dall’uomo o proviene dalla casualità degli eventi. Socrate lo riconduce alla ignoranza ed alla assenza di principi etici. Molto dopo Don Milani diceva che la povertà più grave è la mancanza di cultura. Siamo vicini alla cecità morale del male e della sua banalità sottolineata dalla Harendt. Ancor prima Hegel non ci ricama tanto su e sentenzia che l’uomo e cattivo di natura e quindi, così stando le cose, occorra rassegnarsi. Sant’Agostino propende invece a credere che il male sia la conseguenza dell’allontanamento dall’ordine divino.
Ce ne sarebbe da dire ed a proposito sono stati scritti trattati che purtroppo non interessano se non sparuti addetti ai lavori piuttosto che essere la domanda quotidiana su cui accanirsi. Intanto che ci si abitua alla quotidianità, giorni addietro, per futili motivi di viabilità, un ragazzo è stato ucciso da un colpo di fiocina sparato da uno scellerato. Del resto fiocine, al plurale, sta a significare anche feccia ed è questa la coerenza che è intervenuta nel fatto. Sembra che l’assassino non si sia reso conto di aver tolto la vita ad un uomo, come se sparare con una fiocina sia qualcosa tutto sommato di tollerabile, dalle conseguenze sopportabili.
A Napoli uno studente del Conservatorio, che per mantenersi faceva il cameriere in un pub, è stato freddato da un ragazzo di sedici anni che in compagnia di altri bravi ha fatto fuori, a seguito di un diverbio, con colpi di pistola il povero giovane. La sua vita è stata instabile come il sogno, un giorno, di poter suonare in una orchestra stabile della sua città. Suonava il corno nell’Orchestra Scarlatti Young ma il suo killer non ha avuto “scuorno” a toglierlo di mezzo da questo mondo. Nello “Zoo di vetro” di Tennessee Williams, Jim, uno dei personaggi, ballando con Laura, fa cadere inavvertitamente un unicorno di vetro della collezione di lei. E’ la fragilità della condizione umana che andrebbe maneggiata piuttosto con cura assoluta.
Cadono nel vuoto le parole severe del Sommo Poeta quando scriveva “sì che le pecorelle, che non sanno, tornano dal pasco pasciute di vento”. È questa dunque la cifra della nostra contemporaneità. Gente che va in giro nutrendosi di nulla se non lesta ad ammazzare il prossimo.
Leopardi, uno che di queste cose ci capiva scriveva rivolto a Dio: “Ora vo da speme a speme/ Tutto il giorno errando e mi scordo di te/ Benché sempre deluso/ Tempo verrà ch’io non restandomi/ Altra luce di speranza/ Altro stato a cui ricorrere/ Porrò tutta la mia speranza nella morte/ E allora ricorrerò a te/ Abbi allora misericordia”.
Non resta che sperare in una nuova era glaciale, che raffreddi gli animi di tanti, costringendoli al laborioso esercizio del pensiero.