Parafrasando una felice battuta di Giorgio Gaber, questo breve contributo non vuole essere tanto un articolo sul Cavaliere (di cui in queste ore abbondano i ricordi e i commenti di ogni tipo) ma su quello che ha rappresentato agli occhi della generazione di chi scrive: cioè di chi, nel 1994, aveva dieci anni.
Gli adulti di allora, presi dalla fine traumatica della Repubblica dei partiti, “non lo avevano visto arrivare”. Oggi è un’espressione di gran moda epperò, a pensarci bene, di scarso significato politico. I bambini di allora ricordano – più o meno lucidamente – la “discesa in campo” e ciò che ne è seguito. C’è stato un prima e un dopo, per tutti. Prima a contare erano i partiti: le battaglie politiche erano sul terreno delle idee e le leadership erano perlopiù plurali. Il dopo è il partito gestito come un’azienda, le sezioni sostituite dai Club, i candidati scelti tra i ranghi Mediaset, all’insegna del ghe pensi mi.
Per un ragazzo del 1994, era impossibile discutere – di qualsiasi argomento – senza considerare la sua presenza totalizzante nella vita pubblica: dal calcio (il Milan degli Invincibili) alle televisioni private (“torna a casa in tutta fretta, c’è il Biscione che ti aspetta”), dalla stampa all’imprenditoria, ottenendo risultati che pochi altri possono vantare in Italia. Certo ha avuto anche le sue debolezze, i guai giudiziari, la salute talvolta malferma (a dispetto dell’immagine pubblica da “superman”).
Il primo atto politico del Cavaliere arriva nel novembre 1993 quando dichiara – a sorpresa – che se fosse stato residente a Roma avrebbe votato alle amministrative Gianfranco Fini (allora segretario del Msi). Fino a quel momento nessuno si era impegnato pubblicamente a favore del candidato di un partito che non rientrava nel cosiddetto “arco costituzionale”. E certo non poteva immaginare che, trent’anni dopo, la leadership del “suo” centro destra e del governo sarebbero stati conquistati da un’erede di quello stesso partito.
Come ha scritto il nostro direttore Lucio D’Ubaldo, Berlusconi “lascia un’eredità complessa”: anzitutto, non ci sono eredi politici. Poi Forza Italia – al di là delle intenzioni del fondatore – non è (né poteva essere) un partito “di sistema” che poteva tenere insieme forze eterogenee, se non per convenienze elettorali. Chi scrive ricorda le accese discussioni, tra i cattolici delle “due sponde”: di qua Bianco e Marini, di là Buttiglione e Casini. Una frattura trentennale, che non è destinata a sanarsi in futuro.
Come saggiamente concludeva ieri sul nostro blog Francesco Provinciali, sarà la Storia a giudicare la persona, il politico, l’imprenditore e a “chiarire i passi del suo transito terreno”. A noi resta solo il silenzio: tutti zitti (e buoni?!).